Lavoro ai giovani e crescita, è il momento della responsabilità

Alla vitalità del settore privato, occorre aggiungere un più incisivo contributo del comparto pubblico cui chiediamo di attivare gli investimenti previsti per realizzare quelle infrastrutture materiali e immateriali di cui il Paese ha bisogno per competere

 

Lavoro ai giovani e crescita sono due facce della stessa medaglia. Nel senso che le politiche per la crescita sono quelle che servono, prima di tutto, a dare un’occupazione alle nuove generazioni a conferma del fatto che tra imprese e società non c’è distanza ma comunione d’interessi.

Il lavoro ai giovani è dunque per Confindustria una grande priorità, per due ordini di motivi: perché i giovani assunti possono realizzare i propri sogni – definire un progetto di vita, acquistare una casa, un’auto – contribuendo a stimolare la domanda, e perché rendono più competitive le imprese che li scelgono, imprese aperte all’innovazione e ai nativi digitali.

Imprese più competitive investono di più e conquistano nuovi mercati, soprattutto all’estero, continuando a crescere e creando le condizioni per dare nuova occupazione e nuova domanda, innescando il circolo virtuoso dell’economia: più investimenti, più export, più occupazione e più domanda.

Dobbiamo allora domandarci che cosa determini la crescita, e la risposta possiamo trovarla nei fatti. Partendo dal valutare quei provvedimenti che hanno consentito al nostro Paese d’invertire la rotta dopo anni di crisi e far segnare un innalzamento del Prodotto Interno Lordo che, a fine 2017, potrà attestarsi al di sopra delle aspettative, nonché esportazioni cresciute del 7% rispetto all’anno precedente.

I risultati di oggi derivano da una stagione di riforme che hanno portato profonde innovazioni: il Jobs Act, il piano Industria 4.0, il credito d’imposta al Sud.

Senza dimenticare i contratti di sviluppo di Invitalia e i Patti governativi firmati con città e Regioni. Una serie di strumenti che le imprese hanno saputo usare e apprezzare, senza vincoli geografici o di dimensione, mostrando una capacità di reazione che si è tramutata in un ritorno degli investimenti, nell’innalzamento dell’export e in una ripresa dell’occupazione, recuperando di fatto posizioni perdute nella crescita interna.

Ora ci troviamo davanti a un bivio: proseguire lungo la strada imboccata per puntare a nuovi traguardi o rischiare di perdere l’abbrivio. Un rischio, quest’ultimo, che non vogliamo e non possiamo correre.

Alla vitalità del settore privato – cui si devono i successi che abbiamo sotto gli occhi – occorre aggiungere un più incisivo contributo del comparto pubblico al quale chiediamo di attivare gli investimenti previsti per realizzare quelle infrastrutture materiali e immateriali di cui il Paese ha bisogno per competere.
Solo così, lavorando per la crescita e per l’occupazione, potremo pensare di abbattere la montagna del debito pubblico che grava sull’Italia rendendoci sorvegliati speciali in Europa, dove si teme per un allentamento della spesa e un aumento del deficit che non possiamo assolutamente permetterci.

Dobbiamo imparare a fare i conti con le nostre potenzialità senza lasciarci andare a politiche non sostenibili da una finanza pubblica compromessa dai debiti che per troppo tempo abbiamo messo sulle spalle delle generazioni future. È arrivato il momento della responsabilità. E i sacrifici di oggi ci ripagheranno in futuro.