Presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIn) dell’Università degli Studi di Salerno è attivo il laboratorio di “BiotechInMicro” dove una parte molto significativa dell’attività di ricerca è tesa a proporre, sviluppare e ottimizzare nuovi processi biotecnologici PARASCANDOLA PALMA

 

 

La biotecnologia – definita genericamente come l’applicazione di tecnologie avanzate ai processi biologici, e dagli addetti ai lavori, più esaurientemente, come «l’uso integrato di discipline diverse quali biochimica, microbiologia, ingegneria genetica, ingegneria chimica, per l’ottenimento di sostanze di interesse per l’uomo» – ha consentito, a partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso, con l’avvento della biologia molecolare e la messa a punto delle tecniche dell’ingegneria genetica, la produzione di proteine eterologhe (proteine da specie diversa) in cellule, spesso di origine microbica.

Tra i primi risultati tangibili, veri e propri successi a livello industriale, si annoverano prodotti di interesse in campo terapeutico (red biotechnology) come insulina, interferone, vaccino contro l’epatite B e numerosi enzimi utilizzati nell’industria alimentare, in quella dei mangimi, dei detergenti, della carta, o più ampiamente nei settori della green (agro-alimentare) e white (industriale) biotechnology.

Nonostante tali risultati, spesso accade che gli alti livelli di produzione ottenuti in laboratorio non trovino rispondenza nel processo allestito in fermentatore, il reattore in cui avviene la produzione vera e propria.

I motivi possono essere diversi, attribuibili soprattutto alla scelta di un microrganismo produttore non sempre sufficientemente robusto, incapace di far fronte a condizioni ambientali “stressanti” tipiche dei processi industriali.
Comunemente, infatti, le proteine eterologhe sono prodotte in fermentatori a perfetta miscelazione, funzionanti in modalità semicontinua (fed-batch), nei quali, per effetto dell’accumulo si raggiungono elevate densità cellulari (High Cell Density Cultivation o sistemi HCDC) ma si generano anche condizioni ambientali avverse accompagnate da stress (ossidativo, osmotico, etc.), tali da ridurre la capacità di proliferazione del microrganismo produttore.
É ormai riconosciuto che per esprimere una proteina eterologa, ottimizzare il sistema scelto quale ospite e sviluppare il bioprocesso rendendolo economicamente sostenibile, è necessaria una visione più ampia, strutturata e multidisciplinare, che contempli un approccio globale alla produzione di un singolo prodotto.

Presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIn) dell’Università degli Studi di Salerno è attivo il laboratorio di “BiotechInMicro” (Biotechnology Industrial Microbiology) dove una parte molto significativa dell’attività di ricerca è tesa a proporre, sviluppare e ottimizzare nuovi processi biotecnologici, nonché a mettere a punto sistemi HCDC usando, come ospite dell’informazione eterologa, il lievito Saccharomyces cerevisiae ancora oggi, unico ospite eucariote approvato da FDA (Food and Drug Administration) ed EMEA (European Medicines Agency) per la produzione di sostanze di interesse per l’uomo.

La strategia di espressione utilizzata, messa a punto in collaborazione con un gruppo di ricerca dell’Università di Valencia, consente sia di secernere la proteina eterologa nel mezzo di coltura (con conseguente riduzione dei costi di processo a valle) che di tenerla ancorata alla parete cellulare del lievito. Con questa metodica sono stati messi a punto e realizzati processi per la produzione di proteine eterologhe da impiegare in diversi settori come in terapia medica (interleuchina 1β) ed enzimi che trovano impiego nel comparto agroalimentare quali xilanasi, lipasi, endoglucanasi etc.. La realizzazione di tali processi ha fatto seguito ad uno studio sistematico mirato sia alla scelta del ceppo più idoneo che delle migliori condizioni operative per raggiungere elevati valori di produttività volumetrica e di resa in prodotto.
Pertanto volendo conseguire risultati che abbiano ricadute nel settore dell’industria fermentativa (ad es. allestimento di protocolli di ottimizzazione riguardanti i diversi aspetti del bioprocesso), ma anche porre l’accento su aspetti dei sistemi HCDC non ancora sufficientemente considerati e approfonditi, è chiaro che lo studio del bioprocesso va affrontato considerando il sistema “fermentatore-microrganismo produttore” nella sua totalità cioè come il risultato dall’interazione tra determinanti biologici e ambientali.

Questo approccio, di tipo olistico, si basa, oltre che sulla sperimentazione, sulla modellazione del bioprocesso con lo sviluppo, attualmente, di un modello matematico ispirato ai principi della System Dynamics che, guardando alle dinamiche metaboliche interne alla cellula come il risultato di condizioni multifattoriali, meglio descrive il bioprocesso.

Nel laboratorio BiotechInMicro dell’Università di Salerno sono stati messi a punto oltre a fermentazioni in coltura sommersa, processi con enzimi e cellule microbiche immobilizzate da impiegare in reattori continui, sia a miscelazione che a letto fluidizzato. Il gruppo di Biotecnologia e Microbiologia Industriale si occupa, inoltre, di bioluminescenza sfruttandone le potenzialità a supporto dello studio di base del processo fermentativo e ai fini del rilevamento di fenomeni di contaminazione microbica ambientale.

In questa realtà multidisciplinare, l’ingegnere chimico, disponendo di un solido background scientifico è in grado di appropriarsi, attraverso lo studio e la sperimentazione “sul campo”, degli aspetti biochimici e fisiologici del processo fermentativo configurandosi come un soggetto nuovo nell’odierno panorama delle biotecnologie, in quanto capace di pervenire alla soluzione di problemi e all’ottimizzazione di un processo attraverso una visione olistica dei fenomeni che si sviluppano all’interno del fermentatore.