La sfida per il rinnovamento della professione forense è lanciata. L’avvocato ora può ambire a divenire il motore propulsore della rinascita di un sistema sostenibile della giustizia civile e, per ciò stesso, adeguato, coerente, efficace ed efficiente
Con l’affermarsi della mediazione quale sistema di composizione preventivo delle controversie civili e commerciali, l’avvocato riespande i suoi orizzonti ritornando all’antico compito – cavere, consulere, agere – ma con l’acquisizione di nuove e più avanzate competenze e con l’obiettivo di porsi quale cardine di un complesso sistema complementare e integrato di dispute resolution.
Di recente, infatti, anche la Cassazione ha avuto modo di rilevare come con la riforma della mediazione attuata nel 2013, che ha introdotto la presenza necessaria dell’avvocato in mediazione, sia stata affiancata alla figura dell’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, quella dell’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione.
Ciò segna quindi – secondo la Suprema Corte – «la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate» (Cass. civ. Sez. III, sent. 27 marzo 2019, n. 8473).
D’altronde la svolta dell’avvocatura verso la mediazione e verso i sistemi negoziali di composizione delle liti civili e commerciali è stata segnata nel 2016 dal Congresso Nazionale Forense che si è celebrato a Rimini, svolta che si è poi consolidata anche nella più recente assise assembleare svoltasi a Roma per il rafforzamento della mediazione anche in chiave obbligatoria, proponendo l’avvocato quale protagonista dell’evoluzione del sistema della giustizia civile in una prospettiva non meramente antagonistica e orientata al processo, ma sempre più coesistenziale e, per ciò stesso, anche sostenibile.
Così anche il vigente Codice deontologico forense (approvato nel 2014) diviene un punto di riferimento fondamentale in quanto non solo impone all’avvocato – all’atto del conferimento dell’incarico – di informare la parte assistita chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge, ma anche dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge.
Un’attenzione particolare è riservata proprio agli avvocati dalla “guida” approvata nel dicembre 2018 dal CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza della giustizia) del Consiglio d’Europa. Si tratta più precisamente di un documento che si pone l’obiettivo di garantire l’attuazione delle linee guida CEPEJ sulla mediazione e che contiene al suo interno una “guida alla mediazione per avvocati”.
Una guida che appare immediatamente di notevole interesse in quanto chiarisce quanto sia importante il ruolo dell’avvocato che “assiste” la parte in mediazione e che, quindi, non si sostituisce alla stessa, ma svolge funzioni del tutto diverse «dal contraddittorio processuale giudiziario. Gli avvocati che applicano un approccio più cooperativo e costruttivo nella mediazione, possono aiutare i mediatori a guidare in modo efficace le parti verso un accordo, garantendo così che i loro clienti ottengano una soluzione alle loro controversie che rifletta meglio i loro interessi e bisogni reali».
Il ruolo dell’avvocato nella mediazione viene individuato, oltre che nella selezione dell’organismo di mediazione concorrendo così nella misura possibile alla scelta del mediatore, principalmente in quattro fasi. In primo luogo, già nella selezione del metodo di risoluzione della controversia come parte essenziale del caso: la scelta del procedimento più appropriato è opportuno che sia guidata dall’avvocato perché tale scelta (come quella della strategia processuale) è parte integrante di un’analisi completa e approfondita del caso. D’altronde come sottolinea la guida del CEPEJ, tale selezione «potrebbe influire in modo significativo sulla posizione del cliente come predeterminare in anticipo o ridurre il numero di potenziali risultati finali e quindi restringere inutilmente la gamma di opzioni che sarebbero normalmente disponibili per il cliente».
In secondo luogo, l’avvocato deve poi fornire consulenza al cliente sul corretto metodo di risoluzione dei conflitti. In questa fase è fondamentale che l’avvocato sia formato adeguatamente anche al fine di condurre un’analisi approfondita dei costi-benefici delle opzioni sui procedimenti disponibili: «in particolare, prima di intraprendere una procedura contenziosa ordinaria o l’arbitrato, è importante che il cliente comprenda quanto tempo può richiedere il processo, quanto può costare, quali possono essere i rischi connessi e qual è la probabilità di raggiungere il risultato desiderato, compresi i possibili rischi correlati alla fase esecutiva».
E ancora, l’avvocato deve assistere il cliente al e/o al di fuori del tavolo della mediazione, e in particolare, tra le varie opzioni quella che appare più corretta e utile è quella che vede l’avvocato presente in tutto il procedimento di mediazione con il proprio cliente; si tratta ovviamente della situazione ottimale non solo per il cliente, ma anche per l’avvocato che così potrà assisterlo al meglio in tutte le fasi critiche.
Infine, la redazione dell’accordo che compone la controversia. Invero, «un accordo raggiunto durante la mediazione deve resistere al passare del tempo. Se l’accordo è buono oggi, dovrebbe anche andare bene domani e fra tre mesi». In questa fase il ruolo degli avvocati che hanno partecipato al procedimento diviene fondamentale poiché consente una stesura corretta e coerente delle intese conciliative.
Inoltre, secondo quanto previsto dalla normativa italiana, se gli avvocati sottoscrivono con le parti detto accordo certificandone la conformità alle norme imperative all’ordine pubblico, lo stesso costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Emerge in questo contesto con palese evidenza un itinerario culturale che va consolidandosi e che appare destinato ad orientare le riforme che nei prossimi mesi potrebbero essere avviate.
La sfida per il rinnovamento della professione forense è lanciata. L’avvocato in tal senso può ambire a divenire il motore propulsore della rinascita di un sistema sostenibile della giustizia civile e, per ciò stesso, adeguato, coerente, efficace ed efficiente.
La riforma del processo civile e dei sistemi ADR, ma anche le buone prassi da avviare e consolidare presso gli uffici giudiziari, costituiscono il prossimo banco di prova al quale l’avvocatura sicuramente non farà mancare il suo contributo.