Le verità misconosciute della transizione energetica

Ferruccio de Bortoli, giornalista

Non esiste una transizione low cost. Comunque la si veda, avrà un costo e, soprattutto, andrà a incidere al rialzo sul livello dei prezzi. Avrà effetti redistributivi non calcolabili e probabilmente non gestibili politicamente

La transizione energetica pone una serie di interrogativi – tecnologici, economici, politici e sociali – cui cercherò di dare una mia risposta. Come prima cosa, spesso mi sento rivolgere questa domanda: «arrivare alla net zero – che poi non vuol dire emissioni zero ma saldo zero tra emissioni, compensazione e cattura dell’anidride carbonica – è proprio così indispensabile?»

 

La risposta non può essere che sì, ma dobbiamo notare che il fronte dei negazionisti o degli scettici, non solo in Italia (per esempio dopo l’alluvione in Romagna) va aumentando. Questo è il principale problema che sempre di più dovranno affrontare i governi delle democrazie rappresentative: convincere i propri cittadini della necessità della transizione, dicendo a chiare lettere che sarà costosa e ineguale socialmente. E nello stesso tempo persuadere e risarcire i Paesi in via di sviluppo, con alta povertà energetica, che rivendicano il diritto di crescere inquinando esattamente come hanno fatto in passato i Paesi ricchi, oggi pentiti per aver emesso tranquillamente CO2 per alimentare il loro benessere. Questo secondo compito appare ancora più complesso, visto che la globalizzazione – come ha detto nel suo discorso al Mit, Mario Draghi – è passata dalla competizione al conflitto. Il grado di cooperazione internazionale – e lo si è visto all’ultima Cop 27 di Sharm El Sheik – senza il quale anche timidi passi avanti sono impossibili, è diminuito in maniera significativa. E forse irreversibile. La tentazione di guardare dall’altra parte è forte. I posteri, infatti, non sono una lobby.  Sul piano culturale e della comunicazione di massa non vi è ancora un consenso generale sul fatto che al saldo zero delle emissioni ci si dovrà, prima o poi, arrivare, se non altro per un banale principio di precauzione.

Non sarà il 2050, impossibile per l’Europa che, va ricordato, pur con un’alta impronta carbonica pro capite, è responsabile per appena l’8% delle emissioni mondiali. Sarà forse il 2060, come promette la Cina. Ma non esiste, almeno con le attuali conoscenze, l’idea che il mondo possa sopravvivere a un riscaldamento continuo. Il rialzo della temperatura media dovrebbe essere contenuto, per gli accordi di Parigi del 2015, entro il grado e mezzo rispetto all’era preindustriale. E siamo già oltre 1,2 gradi. Sopra i 2 gradi secondo gli esperti dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) gli eventi climatici estremi si moltiplicano con costi stimati superiori a quelli già giganteschi per la transizione energetica.

Ma quello che sfugge – e lo dice bene un economista di vaglia, pragmatico e non ideologico come Lorenzo Forni nel suo Net Zero (Il Mulino) – che se anche riuscissimo ad arrivare al saldo zero nelle emissioni, non è detto che le temperature smettano di crescere. Perché gli scenari di cui parliamo sono probabilistici, incerti e soggetti a continui ricalcoli sulla base delle tecnologie disponibili. E questo bisognerebbe dirlo, ma se lo diciamo viene meno molto dello sforzo, emotivo, di volontà, di consenso pubblico verso l’obiettivo del 2050.  Perché l’altra verità misconosciuta della transizione energetica è che non si fa solo con le tecnologie pulite, ma anche con la massima condivisione popolare possibile.

C’è una espressione, molto bella ed educativa che dice che dovremmo imparare a vivere in punta di piedi sul Pianeta. Io confido molto nell’educazione civica che vuol dire risparmio energetico, cura personale dell’ambiente, rispetto della biodiversità. Dopo le due crisi petrolifere degli anni Settanta il nostro Paese seppe conquistare importanti leadership nelle tecnologie per l’efficienza energetica. Una cittadinanza più responsabile è un’arma sottovalutata, anche se ovviamente non decisiva. Se tutti noi conoscessimo qual è la nostra impronta carbonica personale, ci comporteremmo diversamente. Mangiando forse meno carne, latticini, viaggiando di meno in aereo, cambiando il riscaldamento e il raffreddamento domestico. Ma è chiaro che un cambiamento di abitudini personali – per quanto eticamente apprezzabile – non sarebbe privo di impatto sull’economia delle famiglie e delle imprese. La transizione energetica, comunque la si veda, ha un costo e, soprattutto, incide al rialzo sul livello dei prezzi. Ha effetti redistributivi non calcolabili e probabilmente non gestibili politicamente. Non esiste una transizione low cost. E qui entriamo in un campo minato che riguarda la comunicazione sulla sostenibilità cui le aziende sono sempre più tenute per essere compliant con i fattori Esg. Attenzione a non dipingere troppo facilmente la scelta di arrivare a zero emissioni. Il nuovo regolamento europeo contro il cosiddetto green washing, ciò il modo di apparire verdi non essendolo, va proprio in questa direzione. Va evitata una falsa e ingannevole presentazione del problema. Fa bene alla crescita di una cultura generale della sostenibilità l’enfasi eccessiva, specie pubblicitaria – per le auto per esempio – o nelle dichiarazioni non finanziarie – sulle emissioni zero di alcuni prodotti senza dire nulla sull’intero ciclo della loro vita, dalle materie prime allo smaltimento? Noi stiamo dicendo al grande pubblico che c’è un futuro prossimo tutto a emissioni zero. Ma sappiamo tutti che questo non sarà possibile perché per vivere dovremo continuare a emettere, compensandola però, anidride carbonica. Si può e si deve essere verdi ma si deve esserlo consapevoli che la vita e la produzione di beni e servizi, cui dobbiamo il nostro benessere, sono inquinamento. Ci sono alcune produzioni, l’acciaio e il cemento, che per il momento non siamo in grado di elettrificare. I combustibili fossili sono ancora necessari per molti trasporti.

La crescita è per sua natura sporca, ne possiamo ridurre l’impatto, ma negarlo è un inganno collettivo. Far finta che non esista non favorisce la transizione energetica, la ostacola, la allontana. Ingrossa le fila degli ecologisti duri e puri – tra loro giustamente molti giovani – che ritengono, erroneamente, che si possa passare immediatamente all’elettrico e alle rinnovabili, solare ed eolico, senza costi sociali ed economici, mantenendo lo stesso livello di qualità della vita, di benessere reale. (stralcio tratto dal discorso integrale tenuto dal direttore de Bortoli all’Assemblea Pubblica di Confindustria Salerno, 30 giugno 2023)