La responsabilità è degli Organi Giudicanti oppure delle normative non chiare? Si attendono ulteriori sviluppi, in particolare la riforma del pubblico impiego
Con sentenza n.11868/16 del 9.6.2016 la Corte di Cassazione ha affermato che le norme sui licenziamenti contenute nella legge Fornero e nel Jobs Act non si applicano ai dipendenti pubblici ma che per questi continuano a valere le “vecchie” norme contenute nell’art. 18 della L. 300/1970.
Di conseguenza, per gli statali in caso di licenziamento illegittimo scatta la reintegrazione nel posto di lavoro e non già la tutela risarcitoria, come nel caso dei privati. Nel novembre 2015 si era espressa in maniera contraria la S.C. con sentenza n. 24157, considerano invece applicabile anche per gli statali la Fornero, che limita la reintegrazione ai soli casi di manifesta insussistenza dei motivi che hanno portato al licenziamento. Soddisfatte le OO.SS., confermata la linea del governo che ha sempre sostenuto, salvo alcune eccezioni, che le nuove norme riguardavano solo il privato. Vanno così a delinearsi tre posizioni in tema di licenziamento: la prima, più vantaggiosa, dei lavoratori del pubblico impiego cui continuerebbe ad essere applicato l’art. 18; la seconda quella dei lavoratori privati cui si applica la Fornero, che sancisce di norma il risarcimento; la terza dei lavoratori assunti a tutele crescenti previste nel Jobs Act.
Il fatto. Il Ministero della Infrastrutture e Trasporti, dopo gli accertamenti necessari, aveva prima sospeso e poi licenziato un suo dipendente per giusta causa senza preavviso, perché aveva reso documentalmente e sottoscritto dichiarazioni di tale gravità e falsità da giustificare la sanzione espulsiva adottata.
La Corte di Appello, ritenendo che nel caso di specie potesse essere applicato l’art.18, così come modificato dal rito Fornero, nel confermare la legittimità del licenziamento, aveva condannato il Ministero al pagamento di 6 mensilità a titolo risarcitorio. Tale sentenza non risultava soddisfacente per nessuna delle due parti, che hanno presentato ricorso e controricorso in Cassazione. La S.C., con sentenza sopra richiamata, ha cas- sato la sentenza della Corte di Appello rinviando alla stessa per il riesame di tutta la controversia, attendendosi, in particolare, al principio secondo cui «ai rapporti di lavoro disciplinati dal d.lgs. 30/3/2001 n. 165 art.2 non si applicano le modifiche apportate dalla 28/6/2012 n. 92 e all’art.18 della L. 20/5/1970 n. 300, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla entrata in vigore della richiamata L. n. 92 del 2012 resta quella prevista dall’art.18 nel testo antecedente alla riforma». Ciò significa che se la Corte di Appello dovesse ritenere il licenziamento illegittimo, il lavoratore potrebbe essere reintegrato nel posto di lavoro.
A mio avviso sarebbe ingeneroso attribuire alla magistratura la responsabilità dell’incoerenza delle due sentenze. La normativa non è chiara ed è soggetta quindi a interpretazioni. La riforma del pubblico impiego dovrebbe dare rispo-sta cui poi i giudici dovranno attenersi. Da un lato vi è esigenza di armonizzare i rapporti di lavoro, dall’altra si sottolinea la differenza della natura dei due rapporti, uno caratterizzato dalla sua specialità essendo l’ingresso per concorso, la corresponsione dello stipendio con denaro pubblico e il suo obiettivo la tutela del buon andamento e imparzialità della pa; l’altro, invece, teso a tutelare il rapporto di lavoro del singolo dipendente, che però pure entra in azienda di norma tramite selezione. Attendiamo gli sviluppi da parte sia eventualmente della Cassazione a sezione riunita, sia, soprattutto, del governo.