Anche le attività potenzialmente lesive possono essere motivo di non prosecuzione del rapporto di lavoro
La Corte di Cassazione con sentenza n. 25147 del 24 ottobre 2017 si è pronunciata sul licenziamento per giusta causa irrogato dal datore di lavoro a un proprio dipendente che aveva copiato sulla propria pen drive file riguardanti la società.
Il fatto.
In primo grado, il Tribunale di Perugia – accogliendo la domanda del ricorrente – ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente per avere sottratto file aziendali.
La Corte di Appello di Perugia riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Perugia, ha ritenuto invece legittimo il licenziamento intimato. Infatti, secondo la Corte di Appello il comportamento assunto dal dipendente, il quale aveva trasferito numerosi dati aziendali su una pen drive, anche se non divulgati a terzi, era sanzionabile con il licenziamento in tronco previsto dall’art.52 del contratto collettivo dell’industria chimica. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore per violazione del vincolo fiduciario.
La condotta tenuta dal dipendente e diretta alla sottrazione di dati e informazioni aziendali è da ritenersi di una gravità tale da violare il «dovere di fedeltà che si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenziale lesività». Pertanto, anche se i dati e le informazioni non vengono divulgati ma restano nell’esclusiva disponibilità del dipendente, lo stesso è portatore di un potenziale danno per l’azienda datrice di lavoro. La giusta causa di licenziamento si sostanzia in una trasgressione o in un’inadempienza posta in essere dal lavoratore di gravità tale da compromettere il rapporto fiduciario e da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha condiviso quanto stabilito dalla Corte di Appello di Perugia che «ha verificato, ponendo a confronto le due disposizioni collettive che la condotta addebitata al ricorrente, e quale era risultata in giudizio provata, dovesse essere ricondotta nell’ipotesi, sanzionata con la massima sanzione espulsiva, della grave infrazione alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o che provochi all’impresa grave nocumento morale e materiale e che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro esemplificativamente individuata nel furto o danneggiamento volontario di materiale di impresa e nel trafugamento di schede, disegni di macchine, utensili o comunque di materiale illustrativo di brevetti o di procedimenti di lavorazione».
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte la sottrazione di dati e informazioni del datore di lavoro è riconducibile alla violazione del vincolo fiduciario che comporta il recesso in tronco del rapporto di lavoro. I fatti sopraesposti confermano che il rapporto di lavoro, in questo caso a tempo indeterminato, richiede non solo professionalità, correttezza e diligenza nella sua esecuzione ma soprattutto lealtà da parte del dipendente.