L’IMMIGRAZIONE, ANTIDOTO ALLA SENESCENZA

Luigino Bruni, Professore di Economia alla LUMSA di Roma. Presidente Scuola Economia Civile

Oltre la paralisi della demografia come destino. «Se si mettono in campo scelte coraggiose, il nostro Paese può avere ancora un domani in cui credere», ne è convinto Luigino Bruni, Professore di Economia alla LUMSA

 

Professor Bruni, il Rapporto Svimez denuncia il rischio di un nuovo rallentamento per il nostro Mezzogiorno una volta ultimata la fase di investimenti pubblici. Quando il PNRR uscirà di scena, che Mezzogiorno potremmo avere e in quale Italia?

Non credo che il PNRR si rivelerà così determinante nella riduzione dei divari e delle disuguaglianze che insistono dagli anni ‘Sessanta, tagliando in due il Paese. Non sarà sufficiente qualche miliardo, anche se ben speso, per riarginare quelle differenze, profonde e radicate, che esistono tra le due aree del Paese, perché parte di un processo che viene da lontano e che non è ascrivibile a una sola generazione.

Qualcuno farà meglio, qualche altro Comune ultimerà progetti di valore ma per cambiare in concreto il volto e la velocità del Paese intero occorre ben altro, specie in termini di impegno protratto nel tempo.

Intanto, la Legge di Bilancio 2025 prevede una riduzione delle risorse destinate al Sud di circa 5,3 miliardi di euro nel triennio 2025-2027. Tra queste, spicca l’abrogazione della Decontribuzione Sud. Che effetti avrà?

Non è di certo una buona notizia per il Mezzogiorno. Il Sud ha bisogno di investimenti pubblici, di cui è la politica a doversi far carico. Non può di certo occuparsene il mercato che i divari tende ad aumentarli, non a ricomporli.

Quanto meno una ventata di speranza arriva dallo stop della Corte Costituzionale al disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata che sarebbe stata per il Sud un colpo ferale. 

Altro dato tristemente ricorrente nel Rapporto Svimez è l’emigrazione giovanile qualificata, “vera emergenza del Paese”. In soli 10 anni sono andati all’estero quasi 140mila giovani laureati, mentre circa 200mila hanno scelto di trasferirsi al Centro-Nord. Un fenomeno che ha una duplice conseguenza: il Sud non solo si svuota, ma manca delle generazioni di ricambio. Guardando al futuro, la soluzione potrebbe venire dall’immigrazione?

Quella dei giovani che vanno via non è una feroce distorsione solo economica ma sociale, di legami sociali. Per ogni giovane che emigra il Paese perde non solo forza lavoro, ma intelligenze, voglia di vita e di futuro come accadde anni addietro quando eravamo noi italiani a lasciare le nostre case in cerca di una sorte migliore altrove. In più, un Paese depresso non fa figli per cui è destinato ancor più ad acuirsi il fenomeno della denatalità che ci restituisce già oggi un’Italia con molti anziani e nessuno che si prende cura di loro.

In vecchiaia è un fallimento per tutto il Paese se non si ha la gioia tipica di avere figli e nipoti intorno.

I giovani hanno il sacrosanto diritto di partire per fare esperienze di vita e di lavoro, il mondo è la loro legittima casa ma la politica deve agire perché il declino non sia inesorabile.

L’immigrazione può rivelarsi un buon antidoto alla senescenza. Possiamo andare oltre la paralisi della demografia intesa come destino; se si si mettono in campo politiche e scelte coraggiose e visionarie, se si utilizzano l’immigrazione e l’investimento in istruzione come risorse, possiamo ancora avere un domani in cui credere.

Il capitalismo nasce in un particolare periodo storico, il seicento-settecento, ma all’interno della matrice culturale cristiana. Le scuole di pensiero francescane (1400-1500) avevano dato infatti all’economia di mercato la direzione del bene comune. Poi il bene comune è diventato bene totale e scopo dell’agire economico il profitto, talvolta perseguito ad ogni costo. Per fortuna le cose stanno cambiando nuovamente. L’economia di Francesco può essere il nostro faro guida per una società più inclusiva e giusta?

I giovani dell’Economia di Francesco ce la stanno mettendo tutta ma ritengo che utile sarebbe cambiare la visuale prospettica: basta con il raccontarci che nulla può cambiare o che il passato sia una condanna inesorabile. Ogni singolo giovane che nasce può cambiare il mondo ogni singolo giorno. Dobbiamo reinventare il presente con nuove parole, nuove suggestioni, nuovi miti fondativi.

Papa Francesco dice che «si diventa “buoni samaritani” in due modi: attraverso il dialogo e una “migliore politica”, una politica che serva il popolo e non se ne servi». Quali sentimenti prova come economista e come cittadino rispetto a una politica che troppo spesso non si fonda esattamente sul buono?

Soffro molto in questi anni della cattiveria e dell’odio sdoganati e a buon mercato. Di questi sentimenti bui ne è un esempio l’allestimento dei campi profughi in Albania che ha lasciato indietro l’umanità di molti. La sofferenza però è il primo motore di cambiamento, quindi ben venga se i giovani patiscono per questo mondo sbagliato. 

Sentire il disagio significa già dare inizio a un tempo nuovo.

Un’ultima domanda: il Cardinale Zuppi ha scelto le sue parole chiave per gli anni a venire: sobrietà e serietà. Quali sono, a suo avviso invece, le parole sulle quali possiamo ri-edificare il nostro futuro come Paese?

Su tutte andrebbe recuperata la fraternità, unico sentimento a creare legami. Non basta essere liberi e uguali. Perché un popolo si senta parte di un destino comune, deve assurgere la fraternità come dimensione essenziale dell’uomo. Senza di questa, mai sarà possibile o anche solo desiderabile la costruzione di una società giusta e di una pace solida e duratura.