Straordinari i risultati dell’efficace collaborazione pubblico-privata: da gennaio 2017 ad oggi sono state organizzate 20 missioni all’estero e oltre 6mila incontri di business, che hanno coinvolto 885 imprese, di cui il 74% PMI. «Vogliamo perseguire il percorso intrapreso e migliorare i numeri finora ottenuti»
Vice presidente Mattioli, in relazione al Piano Straordinario per la Promozione del Made in Italy, Confindustria aveva chiesto «continuità» con quanto deciso e fatto in precedenza. Così è stato. Allargare le competenze delle imprese – specie quelle digitali – e attrarre investimenti diretti esteri in Italia sono le due direttrici lungo cui si muoverà la nuova strategia. Ne condivide impostazione e finalità?
Confindustria è convinta della necessità di adottare delle politiche di sostegno all’attività internazionale efficaci e coerenti rispetto alle esigenze delle imprese. Poter contare, come abbiamo fatto negli ultimi tre anni, su di una dotazione finanziaria significativa, che si avvicina a quanto dispongono i nostri competitor europei, è stato di grande importanza e ha contribuito ad ottenere quel risultato record, ormai ben noto a tutti, dei 448 miliardi di euro di export nel 2017. Solo per richiamare brevemente alcuni traguardi raggiunti grazie a questa efficace collaborazione pubblico-privata, ricordo che da gennaio 2017 ad oggi abbiamo organizzato 20 missioni all’estero e oltre 6mila incontri di business, coinvolgendo 885 imprese, di cui il 74% PMI. Come Confindustria vogliamo perseguire il percorso intrapreso e migliorare i risultati finora ottenuti.
Condividiamo, con la nuova strategia governativa, anche l’attenzione per il tema dell’attrazione degli investimenti esteri, convinti del fatto che le imprese globali, multinazionali, internazionalizzate, rappresentano un fattore di competitività strategico per il nostro Paese. Oltre all’attrazione, però, non dobbiamo dimenticare che dobbiamo trattenere chi ha già investito in Italia.
Quali Paesi e settori sono stati individuati come prioritari dal Piano? Se l’obiettivo ultimo è la competitività trasversale del Paese, privilegiando solo alcuni comparti non si rischia di lasciare indietro molte Pmi?
Insieme agli attori della Cabina di Regia – Maeci, Mise, Mef, Mibact, Mipaaft, Conferenza delle Regioni, Unioncamere, Confindustria, R.ETE Imprese Italia, ABI e Alleanza delle Cooperative Italiane – abbiamo, come ogni anno, identificato i paesi prioritari per le attività di internazionalizzazione. In tale sede Confindustria ha presentato i risultati dell’indagine annuale che svolge presso il proprio Sistema Associativo; quest’anno hanno preso parte all’indagine 69 associazioni che rappresentano 80.000 imprese ed è stato confermato l’interesse per alcune economie avanzate – USA, Canada, Giappone, Messico, Australia – ed emergenti, tra cui Cina, Russia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e India. Un ragionamento a parte merita il continente africano, che richiede una strategia ad hoc, in grado di consentire alle imprese italiane, in particolare alle PMI, di cogliere appieno le diverse opportunità di collaborazione industriale che soprattutto l’Africa Sub sahariana può offrire.
Sono proprio le PMI ad essere al centro dell’azione di sostegno all’internazionalizzazione. I diversi strumenti nati con il piano – cito soltanto i Voucher per i Temporary Export Manager, il progetto “Alti potenziali”, gli accordi con le catene di distribuzione, le missioni di incoming di operatori stranieri – hanno come obiettivo quello di rafforzare le competenze delle nostre PMI, favorendo la loro competitività internazionale.
L’attenzione ai comparti non esclude le PMI, anzi mira a coinvolgerle maggiormente attraverso lo sviluppo delle filiere. La crescita delle piccole imprese sui mercati stranieri avviene anche rafforzando le partnership con le grandi imprese già presenti all’estero, che, per realizzare i propri progetti, necessitano di competenze e tecnologie che le nostre PMI sono in grado di fornire.
Quali sono gli ostacoli che ancora incontrano le imprese nella penetrazione dei mercati esteri?
Ad oggi un enorme fattore di rischio per l’intero sistema industriale italiano è senz’altro rappresentato dall’inasprimento delle misure protezionistiche che si registra nelle economie avanzate dall’inizio del 2018.
La crisi dei negoziati multilaterali, e il ricorso più intenso a barriere tariffarie e non, ostacolano inevitabilmente l’accesso delle nostre imprese ai mercati esteri, pregiudicando soprattutto le nostre PMI che, per crescere all’estero, necessitano di regole certe e standard omogenei.
Per contrastare tali minacce protezionistiche occorre prevedere adeguate misure di accompagnamento delle nostre imprese all’estero; gli accordi commerciali che l’Unione Europea sta continuando a negoziare con determinazione rappresentano la cornice necessaria all’interno della quale le nostre aziende possono continuare ad operare all’estero. Sempre con riguardo agli ostacoli per le nostre imprese, ricordo la difficoltà con la quale molte piccole imprese cercano di consolidare la propria presenza all’estero; al riguardo, il nostro obiettivo è quello di aumentare il numero degli esportatori “abituali”, prevedendo in particolare adeguati strumenti finanziari in grado di supportare la loro crescita all’estero.
Le modalità distributive e di vendita oggi si sono spostate di molto sul digitale. Il made in Italy quanto si vende on line e quali strategie sono necessarie per favorire il sell out delle Pmi del nostro Paese sui grandi marketplace on line?
La presenza sulle principali piattaforme mondiali e-commerce è ormai una scelta obbligata per le nostre PMI che vogliono internazionalizzarsi; una scelta che però molte delle nostre imprese ancora stentano ad intraprendere. Dobbiamo ulteriormente incrementare le vendite sui canali digitali, soprattutto nei mercati in cui l’e-commerce registra volumi e tassi di crescita consistenti, come in Cina, USA e in alcuni Paesi europei. In questa ottica, abbiamo promosso progetti con piattaforme B2C leader, ad esempio con il Gruppo Alibaba e con Yoox, solo per citarne alcuni. Per vendere attraverso questi canali è indispensabile preparare le nostre imprese ancora legate a modelli di vendita tradizionali. La strategia deve quindi essere fortemente incentrata su progetti di affiancamento nell’approccio ai marketplace e di formazione specifica e mirata affinché la digitalizzazione aziendale diventi una prassi consolidata.
Una migliore internazionalizzazione concorre a una più elevata occupazione nel nostro Paese?
In generale, il contributo fornito dall’internazionalizzazione alla crescita economica interna è particolarmente significativo; basti ricordare che il surplus della bilancia commerciale nel 2017 ha inciso per il 2,8% sul PIL nazionale. La dinamica del numero degli addetti continua a essere migliore nelle imprese esportatrici rispetto a quelle che operano esclusivamente sul mercato interno. La caduta dell’occupazione causata dalla crisi del 2008 è stata peraltro meno accentuata nel caso delle imprese esportatrici e si è arrestata prima. Concentrerei l’attenzione anche sul valore che crea l’azienda che si internazionalizza. Il valore aggiunto per addetto risulta infatti mediamente raddoppiato nelle imprese esportatrici rispetto a quelle che non esportano.