La concessionaria, attiva nel settore del trasporto da quasi un secolo, con una rete di 25 officine autorizzate e 5 magazzini ricambi, ha convertito l’emergenza legata alla pandemia del coronavirus in occasione positiva per aggiungere valore al suo business. Del progetto Refresh Cold e di molto altro abbiamo parlato con Gianandrea Ferrajoli, Ceo di Mecar, vice presidente di Federauto e presidente della commissione innovazione e sviluppo di ALIS
Il mondo dell’auto, inteso in un’ampia accezione, ha fatto registrare un collasso verticale in termini di vendite, con ripercussioni notevoli sui piani aziendali per il futuro. Mecar – concessionaria attiva nel settore da quasi un secolo, con una rete di 25 officine autorizzate e 5 magazzini ricambi, ha trasformato l’emergenza legata alla pandemia del coronavirus, in occasione positiva per aggiungere valore al suo business, difendendo le fondamenta del suo sviluppo futuro, confermandosi così top performer nel suo settore. Ne abbiamo parlato con Gianandrea Ferrajoli, Ceo di Mecar, vice presidente di Federauto e presidente della commissione innovazione e sviluppo di ALIS.
Gli ultimi cinquanta giorni hanno, con una rapidità senza precedenti, cambiato molte delle nostre abitudini, personali e collettive. Trasformazioni che lasceranno tracce profonde in ognuno di noi ma che, affrontate con lo spirito giusto, potranno essere il punto di partenza per un futuro senz’altro diverso, in cui molti dei quadri di riferimento muteranno in maniera permanente.
La community Mecar non è rimasta a guardare e ha trasformato il tempo dell’attesa in creazione di nuove strategie innovative. Da tempo avevamo innovato, con coerenza strategica, il nostro modello di business investendo sul digitale e su processi di contactless networking con le realtà più innovative su scala internazionale, ponendo sempre al centro la persona e la sostenibilità ambientale di tutto il comparto dei trasporti e della logistica, concependo la tecnologia come mezzo e non come fine.
La priorità oggi è difendere i nostri collaboratori e il nostro business: abbiamo innanzitutto investito sulle necessarie misure di sicurezza. Oltre a quelle standard, abbiamo attivato e rafforzato il lavoro a distanza, effettuato lo screening dei collaboratori e dei visitatori (sempre meno), mantenendo sempre la distanza raccomandata e, ancorché non fosse stato né consigliato, né previsto da alcuna norma, abbiamo deciso di attivare un processo di sanificazione di tutti i veicoli in accettazione nelle nostre officine, di rientro dai noleggi, nonché di ricezione dalla stessa casa madre.
Neanche la nostra progettualità si è fermata. Sta prendendo forma, infatti, un piano molto ambizioso: la costituzione di un polo del freddo a Battipaglia, dedicato non solo al food e al pharma. REFRESH COLD – questo il nome della new venture – si candida a essere un big player nella catena del freddo, con l’apertura, nei prossimi 60 giorni, di un headquarter di quasi 3000 metri, interamente dedicato al service e all’assistenza in loco e in strada del sempre crescente numero di mezzi refrigerati che consentono ogni giorno la consegna dei beni primari così tanto “sentiti” in questi giorni difficili. Abbiamo finalizzato un accordo con Thermoking, multinazionale americana leader del settore, che ha già una mission chiara: diventare uno dei primi 3 player nazionali per volumi e per servizi offerti.
Chi uscirà prima dalla crisi post-covid 19? Quale azienda sarà la più adatta?
Tanti processi innescati dall’emergenza covid-19 non credo siano più reversibili e allora bisogna prenderne atto e misurarsi con questa nuova realtà. La spinta sulla digitalizzazione ha fatto sì, ad esempio, che a marzo i numeri dell’e-commerce e dell’home delivery siano raddoppiati, anche al Sud. Ma c’è un dato è ancora più significativo: il 75% di chi ha comprato on line, nelle ultime settimane, non lo aveva mai fatto prima. Sono state vinte, credo definitivamente, alcune resistenze psicologiche e culturali, mostrando come l’e-commerce sia “The new normal”.
Il digitale ha mostrato tutta la sua convenienza e comodità. Ed è in ragione di questo che non credo saranno necessariamente le aziende più grandi e strutturate ad avvantaggiarsi di questa fase particolare, ma quelle che mostreranno maggiore propensione all’innovazione e alla digitalizzazione dei processi.
Lei, però, ha in più di un’occasione rimarcato che il delivery a casa costa molto, costa a tutti, alla comunità come alla sostenibilità ambientale del Pianeta. Diventeremo allora ancora meno ecosostenibili?
Vero, il food delivery – ad esempio – non è senza conseguenze così com’è concepito ora. Andrà necessariamente incentivata una sua trasformazione in un’ottica di sostenibilità. La direzione è stata già tracciata proprio nell’ultimo periodo. GoVolt, una startup interamente guidata dallo studio dei dati in cui la Mecar ha creduto e investito, fino al 6 marzo scorso offriva servizi di scooter sharing con mezzi 100% elettrici. Oggi non essendoci, per evidenti ragioni, richiesta di sharing mobility su due ruote, si è riconvertita nel delivery di farmaceutici e alimentare. Agilità e innovazione vinceranno, anche se mi chiedo perché la politica abbia lasciato indietro le startup, molte delle quali hanno dimostrato di saper cambiare pelle senza alcun sostegno economico.
Piuttosto, ancor più di prima, bisognerebbe riconoscere, valorizzare e premiare chi ha capacità di riproporsi sul mercato e di farlo velocemente.
Lei è anche vice presidente di Federauto e presidente della divisione Trucks. Per il suo specifico comparto cosa dovrebbe fare il governo per farvi ripartire davvero?
Incentivare un mondo in cui la logistica e i trasporti siano sempre più centrali, agevolando in particolare il rinnovo del parco mezzi circolante, il più vecchio d’Europa, in cui gli Euro 3 superano il 60% degli autoarticolati.
Una rottamazione green, sul modello tedesco, sarebbe utile?
Sì, sulle nostre strade il 70% dei mezzi circolanti è ante Euro 3, con ricadute in termini di sicurezza stradale e impatto inquinante davvero notevoli. La Regione Campania, così come ha fatto con il trasporto pubblico, potrebbe spingere in questa direzione anche per il trasporto merci. I nuovi veicoli hanno tecnologie a bordo più sicure, che garantirebbero una flessione sia del numero degli incidenti, sia dei livelli di inquinamento.
Pare, invece, che la rivoluzione elettrica sarà rinviata ancora.
Più che fermare la rivoluzione elettrica, andrebbe arrestata la demonizzazione del diesel. Lavoriamo ad accelerare il processo di decarbonizzazione, tenendo conto però che il diesel di ultima generazione è molto virtuoso e poco inquinante. Lo ripeto, il cuore del problema della poca sostenibilità presente e futura è rappresentato dai vecchi veicoli. La transizione all’elettrico dovrà essere efficace nella sua gradualità e muoversi sull’unica direzione possibile nel post-covid-19: tanta tecnologia, tanto digitale, tanta sostenibilità.