Mercalli: «Cambiamo, ora, nel segno della sostenibilità ambientale»

Per il climatologo non ci può essere una vita sana senza un ambiente sano. «La salute dipende dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo, dal cibo che mangiamo e dal clima che ci avvolge, inclusi gli insetti vettori di nuove malattie! Dobbiamo mantenere le condizioni di vivibilità del Pianeta, altrimenti i primi a farne le spese saremo noi stessi e le generazioni future»

 

Professore, l’emergenza coronavirus aveva lasciato sperare in un’accelerazione delle politiche di transizione ecologica. Poi, tutto o quasi è tornato come prima. Il Recovery fund può spingerci a riprendere la strada buona e a tornare a investire con convinzione nell’economia circolare e nella difesa dell’ambiente?

L’emergenza coronavirus, invece che essere vista in antitesi alle politiche di sostenibilità, deve al contrario essere considerata come uno sprone a perseguirle con maggior efficacia e convinzione. Il virus ci ha infatti mostrato molti insegnamenti, tra i quali:

>> il disturbo che le attività umane provocano sugli ambienti naturali ancora intatti, come le foreste tropicali, dove il contatto con animali selvatici a seguito della deforestazione può agevolare il salto di specie del patogeno sull’uomo.

>> la prevenzione è sempre il miglior strumento per ridurre i danni: ogni giorno perduto si è pagato in vittime. Con il clima e altri problemi ambientali potrebbe essere peggio, perché non si tratterà di emergenze temporanee ma di cambiamenti epocali che dureranno millenni e l’unico modo per limitare i danni di domani è agire ora.

>> il confinamento sociale planetario, che ha generato anche benefici ambientali, ha messo in luce che se si vuole i risultati si possono ottenere anche in tempi ridottissimi. L’imponente iniezione di denaro, che i governi hanno immesso nel sistema economico, deve essere utilizzata tenendo conto dei principi della sostenibilità ambientale. Ovvero si finanzia chi ha attività virtuose, chi produce energie rinnovabili, chi riduce sprechi e rifiuti e non chi inquina.

Ma, facendo un passo indietro, cosa o dove abbiamo sbagliato?

Nell’ignorare per quarant’anni gli allarmi più che giustificati del mondo scientifico.

Abbiamo perso un tempo che era fondamentale per la prevenzione, ora ci troviamo a dover agire d’urgenza, con i danni già in corso. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul clima è del 1992, da allora tante chiacchiere e poca sostanza!

C’è chi propone un nuovo Umanesimo, fatto di ritorno alla vita nei piccoli centri, smart working, vera comunità. Una prospettiva possibile secondo lei e davvero risolutiva contro eventuali altri allarmi sanitari?

Questo scenario, in un sistema complesso come il nostro mondo, non può essere visto come una soluzione unica. Può avere un senso in certi contesti territoriali, in altri no.

Ma quello che conta è che i principi di base della sostenibilità si possono applicare ovunque, in città come in aree meno abitate. I pannelli solari, la coibentazione degli edifici, la raccolta differenziata dei rifiuti, il telelavoro, non hanno limiti di applicazione!

Cosa ne pensa della medicina unica? Potrebbe essere una risposta alle nuove emergenze di salute pubblica?

Certo, una delle grandi leggi dell’ecologia è che tutto è connesso. Non ci può essere una vita sana senza un ambiente sano.

La salute dipende dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo, dal cibo che mangiamo e dal clima che ci avvolge, inclusi gli insetti vettori di nuove malattie!

Dobbiamo mantenere le condizioni di vivibilità del pianeta, altrimenti i primi a farne le spese saremo noi stessi e le generazioni future.

Quale parte di “lezione” crede dovremmo tenere a mente: l’importanza della pianificazione o quella di dare vita a nuovi modelli di sviluppo?

Entrambe. Abbiamo bisogno di pianificare la transizione ecologica, perché o la si fa tutti – e intendo non solo a livello di individui, ma pure di governi dell’intero pianeta – o non raggiungerà i risultati efficaci in tempo utile.

E abbiamo anche bisogno di elaborare un nuovo modello economico globale: la crescita infinita in un mondo dalle risorse finite non è infatti possibile, ma continuiamo a vivere come se lo fosse. Il risveglio da questa illusione – proibita dalle ferree leggi fisiche – potrebbe essere traumatico.