L’intenzione della Cabina di Regia è di passare da un Piano Straordinario per il Made in Italy a un Piano Strategico per il Made in Italy
Direttore De Luca, il nuovo Piano Straordinario per la Promozione del Made in Italy, rispetto alle precedenti scelte strategiche governative in ambito internazionale, punterà ad aumentare il numero di imprese italiane stabilmente esportatrici, soprattutto del Sud Italia, con un focus specifico sui canali digitali. Le risorse saranno concentrate su poche attività ma strategiche. Quali saranno nello specifico e quali obiettivi ci si è posti?
Gli obiettivi sono chiari: aumentare il numero di imprese stabilmente esportatrici ma anche l’intensità di esportazione (in termini di fatturato e di numero di mercati) di quelle che già operano sui mercati internazionali, con una particolare attenzione alle piccole e medie imprese e alle aziende del Sud.
Prestare, poi, attenzione ai territori, promuovendo un’azione capillare di formazione e informazione per meglio sfruttare le opportunità che derivano dall’accesso ai mercati esteri.
Per quanto riguarda le risorse è necessario, innanzitutto, che queste – in passato stanziate su base straordinaria – si trasformino in strutturali. L’intenzione è di passare da un piano straordinario per il Made in Italy a un piano strategico per il made in Italy. Anche in termini di sostegno finanziario riteniamo che il gruppo Cassa Depositi e Prestiti, anche grazie al suo polo per l’export rappresentato da SACE e SIMEST, possa dare un contributo significativo alle imprese che esportano, moltiplicandone la “potenza di fuoco”. Infine, dobbiamo continuare la valutazione di impatto delle misure adottate, per verificare sia l’efficacia e l’efficienza dell’investimento pubblico, sia la portata in termini di crescita, produttività e occupazione in Italia.
Quali Paesi e settori sono stati individuati come prioritari dal Piano? Se l’obiettivo ultimo è la competitività trasversale del Paese, privilegiando solo alcuni comparti non si rischia di lasciare indietro molte Pmi?
L’identificazione dei mercati avviene considerando sia le esigenze delle imprese, sia il più ampio quadro di interessi del Paese a partire dalle questioni di politica estera e di sicurezza. Oltre i mercati maturi o tradizionali per il nostro Paese (Europa, Nord America, Mediterraneo) vogliamo puntare, per il 2019, su mercati che possano dare impulso alla nostra crescita per via del potenziale tuttora poco esplorato, in primis Russia, Cina e India, che rappresentano anche mercati di un’ampiezza tale da doversi necessariamente presentare come sistema Paese, e non come singole imprese per rafforzare la propria presenza. Anche la scelta dei settori prioritari è stata frutto di un processo condiviso con le stesse associazioni imprenditoriali e con gli operatori economici e comprende i comparti tradizionali del nostro tessuto economico e quelli a più alto potenziale: dalla manifattura meccanica all’agroalimentare, dall’energia e infrastrutture alle tecnologie verdi, dalle industrie creative e culturali al settore farmaceutico e sanitario.
Una buona iniziativa promozionale è tale se…
Sono molteplici i fattori determinanti per il successo delle iniziative di promozione del “Made in Italy” sui mercati globali. Tra i principali identificherei sicuramente la capacità di definire gli obiettivi concreti che si intendono conseguire, la conoscenza approfondita dei punti di forza e di debolezza del “prodotto” che si intende promuovere e un’analisi obiettiva delle caratteristiche dei mercati target.
Sulla base di queste premesse, è essenziale poi avvalersi di tutti gli strumenti utili a massimizzare i risultati, come ad esempio una struttura organizzativa, motivata e in grado di esprimere elevate professionalità; una solida rete di partner e di contatti; un’attenta cura degli aspetti comunicativi, anche attraverso le nuove tecnologie.
Facciamo un esempio pratico. Dal 19 al 26 novembre prossimi, giungerà alla sua terza edizione la “Settimana della cucina italiana nel mondo”, un progetto speciale ideato dalla Farnesina nel 2016 per promuovere in maniera integrata e coordinata uno dei tratti distintivi della nostra identità culturale e del “Marchio Italia”: l’eccellenza delle nostre filiere agro-alimentari e lo straordinario patrimonio rappresentato dalla tradizione culinaria italiana, ambiti in cui anche la provincia di Salerno esprime storie di successo emblematiche.
Punto di partenza è stata l’ambiziosa idea di provare a realizzare un brand univoco sotto cui riunire tante iniziative di promozione dell’enogastronomia italiana all’estero, magari sorte in maniera spontanea ma prive del carattere di sistematicità.
Proprio in funzione di questo obiettivo, il MAECI ha deciso sin da subito di operare in rete, coinvolgendo le istituzioni nazionali, gli enti territoriali, le associazioni di categoria, il sistema camerale, i consorzi di tutela, le scuole di cucina, i cuochi e i sommelier e canalizzando le idee emerse da questo confronto attraverso la rete diplomatico-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura, la quale – grazie all’elevato grado di conoscenza del territorio – consente di adattare il progetto alle specificità delle singole realtà locali. I frutti di questo intenso lavoro di squadra non si sono fatti attendere: nelle prime due edizioni abbiamo realizzato oltre 2400 eventi in 110 Paesi, tra conferenze, workshop, iniziative destinate al grande pubblico e appuntamenti enogastronomici di varia natura, nel corso dei quali le eccellenze della nostra filiera agro-industriale e le caratteristiche della nostra immensa tradizione culinaria, indissolubilmente legata all’unicità e alla bellezza dei nostri territori, sono state illustrate agli operatori del settore, al mondo accademico, al grande pubblico e ai media locali.
Ma oltre ai numeri, pur importanti, i risultati sono stati vincenti sotto il profilo qualitativo. Si pensi ad esempio al network di contatti che queste iniziative hanno consentito di sviluppare tra realtà produttive italiane e operatori locali, all’attenzione suscitata su questo tema nelle nuove generazioni attraverso campagne di comunicazione mirate o ancora all’immagine corale e positiva del nostro Paese che è stato possibile veicolare contemporaneamente in tutto il mondo attraverso i media e le reti sociali. In definitiva, un esempio di cooperazione win-win tra istituzioni pubbliche e settore privato che continuerà anche nei prossimi anni a promuovere – in maniera integrata – un elemento identitario della nostra economia e della nostra cultura.
Quali sono gli ostacoli che ancora incontrano le imprese nella penetrazione dei mercati esteri?
Le imprese italiane scontano un vincolo dimensionale che, da un lato, non consente di creare al proprio interno strutture permanenti dedicate all’internazionalizzazione e, dall’altro, non permette di diversificare il rischio sui mercati.
Considerato che il 42% delle imprese italiane che esporta, lo fa su un solo mercato, spesso l’azienda si lega strettamente alla domanda del singolo Paese in cui esporta. Il vincolo dimensionale può essere però superato creando reti di imprese e filiere che consentano di aumentare la “massa critica”.
Un altro ostacolo che le imprese incontrano è quello relativo ai canali distributivi. Per questo motivo, uno sforzo significativo di sistema si sta facendo nel sostenere l’ingresso dei prodotti italiani sia all’interno della grande distribuzione organizzata, sia sulle piattaforme digitali di e-commerce.
La sfida globale si gioca sul fronte dell’attrazione degli investimenti esteri, competizione che ci vede ancora nella parte bassa della classifica. Su questo aspetto, quali sono le ambizioni del Piano?
L’attrazione degli investimenti è un’attività strategica per l’internazionalizzazione a cui il Piano 2018 dedica risorse specifiche, proprio con il fine di scalare le classifiche di cui parlate e sfruttare le potenzialità del nostro Paese. Le nostre ambizioni puntano a far fronte ai problemi concreti che gli investitori esteri possono incontrare quando arrivano in Italia e a selezionare quegli investimenti che possono avere un maggiore impatto di lungo periodo. Un primo punto del piano è rafforzare l’attuale governance dell’attrazione degli investimenti che ha il suo perno nell’attività del Comitato per l’Attrazione degli Investimenti Esteri. L’obiettivo è fornire all’investitore un iter chiaro e interlocutori qualificati definiti quando si approccia all’Italia.
Un altro punto è la sburocratizzazione e la semplificazione delle procedure amministrative. Sono misure ponderate e funzionali. Diversi studi, da ultimo uno studio di AIBE proprio di quest’anno hanno, difatti, individuato le criticità del nostro Paese per gli investimenti: carico normativo, burocratico e fiscale e certezza e chiarezza del quadro normativo sono ai primi posti. Torno, però, sul discorso delle classifiche. Anche su questo stiamo lavorando come sistema. Non sempre gli indicatori internazionali ci collocano in posizioni corrispondenti ai reali dati macroeconomici del nostro Paese. Per questo abbiamo costituito quest’anno un gruppo di lavoro con l’obiettivo di identificare le classifiche in cui migliorare il nostro posizionamento, con particolare riferimento a quelle più penalizzanti per il nostro Paese.
Naturalmente, è anche importante saper promuovere adeguatamente l’Italia che resta, comunque, la 7° economia manifatturiera e la 2° in Europa, con un surplus commerciale che ci colloca tra i primi 5 dei Paesi G20 e un marchio Paese, quello del “Made in Italy”, che è il terzo brand più noto al mondo. In questo le nostre Ambasciate e i nostri Consolati sono in prima linea, non solo perché sono il primo punto di contatto per i grandi investitori istituzionali all’estero, ma anche perché lavorano capillarmente e costantemente per comunicare i punti di forza e le prospettive politico-economiche del nostro Paese. Ci sono poi degli obiettivi di politica industriale su cui puntiamo: da un lato, aumentare il numero di nuovi progetti di imprese multinazionali in Italia, i c.d. greenfield e brownfield, che hanno un impatto evidente su occupazione e crescita economica. Dall’altro lato, attirare partner industriali e finanziari per le nostre aziende, in particolare le PMI, nella misura in cui queste collaborazioni siano finalizzate a rafforzare il nostro sistema imprenditoriale, incrementando occupazione, disponibilità finanziaria e opportunità di sbocco per i nostri prodotti e non mirino, invece, all’acquisto di nuove tecnologie. Infine, punteremo sui progetti legati al settore delle infrastrutture e dei trasporti, in particolare porti e snodi logistici, per le ricadute che questi hanno sul nostro sistema economico.
Una migliore internazionalizzazione concorre a una più elevata occupazione nel nostro Paese?
Dal 2010 al 2017, le esportazioni sono la componente del PIL che ha consentito di mitigare gli effetti della crisi prima e, in seguito, rilanciare il graduale processo di crescita. D’altra parte, secondo recenti indagini, il fatturato “esportato” dalle imprese italiane è aumentato di oltre un quarto tra il 2010 e il 2017 (+26,3%), mentre nel 2017 il fatturato interno delle imprese non aveva ancora recuperato i livelli di fatturato del 2010 (-3,3%). L’internazionalizzazione ha poi consentito, non solo alle imprese direttamente coinvolte di crescere, ma anche di attivare processi di filiera che hanno innescato un circolo virtuoso. Come Farnesina, abbiamo commissionato uno studio indipendente sulle commesse e i contratti assegnati a imprese italiane all’estero che hanno beneficiato del sostegno delle nostre Ambasciate: l’impatto positivo in termini occupazionali in Italia è stato di 307mila posti di lavoro sostenuti.