Per il presidente emerito della Corte Costituzionale, può esserci autonomia differenziata ma solo per alcune materie e lo Stato dovrebbe poter egualmente intervenire nonostante il trasferimento e senza ricorrere a contenziosi
Autonomia differenziata, partiamo dalla forma: quali sono i nodi procedurali del ddl Calderoli?
Si tratta di un tema di particolare rilievo costituzionale, che non può essere ridotto semplicisticamente all’adesione alla richiesta di alcune Regioni di trasferire loro competenze oggi attribuite allo Stato. Va inserito, infatti, in un quadro generale in cui si sviluppa il principio autonomistico, sancito dall’articolo 5 della Costituzione, promuovendo l’operatività e la più ampia tutela delle autonomie territoriali nel rispetto, però, di un contesto statale unitario e indivisibile, in cui il mantenimento dell’unità nazionale equivale anche a una identità di diritti, di condizioni di equilibrio nello sviluppo economico e sociale tra le diverse aree e territori.
La Costituzione prevede anche, sempre nella riforma del Titolo V, un elemento finanziario di forte riequilibrio in favore delle aree svantaggiate, e cioè che siano attribuite risorse speciali ai territori che hanno minore sviluppo con interventi di sostegno anche dello Stato, oltre tema della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) non ancora definiti.
C’è un’eredità del passato da rimuovere.
Mi riferisco alla necessità innanzitutto di uniformare i servizi essenziali offerti ai cittadini – sarebbe inammissibile, ad esempio, generare tutele sanitarie differenziate in aree territoriali diverse, tanto più che determinerebbero ovviamente anche un trasferimento di persone per godere di buone prestazioni sanitarie – ma anche di non attribuire più le risorse sulla base della spesa storica perché -diversamente – chi finora è stato svantaggiato rimarrebbe tale e non avrebbe accesso a migliori condizioni. Ciò non significa che non possa esserci autonomia differenziata. Il punto è il come, e in quali materie. Non è detto infatti che tutte e 23 le materie di competenza concorrente debbano essere trasferite. Su questo punto, sarebbe utile un metodo gradualistico, non una risposta passiva dello Stato rispetto alle richieste delle Regioni non ancorate a specificità locali.
Andrebbero individuati quali “stock” di competenze può essere opportuno trasferire anche per saggiare validità ed efficacia di questa riorganizzazione istituzionale.
La Costituzione fa riferimento a ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia: mi chiedo: può lo Stato – nel trasferire alcune di queste competenze – porre delle condizioni, inserendo una clausola di supremazia per cui in condizioni di necessità, quando si verifica una esigenza unificatrice o un interesse nazionale, lo Stato possa egualmente intervenire nonostante il trasferimento di tali competenze alle Regioni senza ricorrere a contenziosi costituzionali?
Ritengo possa essere efficace anche per ragioni di chiarezza. Laddove, per esempio, si tratta di grandi reti, per evitare che ci siano contenziosi tra le parti, lo Stato si spoglierebbe e concederebbe ma trattenendo a sé una leva di emergenza.
Tornando al disegno di legge Calderoli, pur essendo stabilita la necessità di una maggioranza particolarmente qualificata per validare il passaggio di materie, il Parlamento resterebbe comunque ai margini del processo di approvazione.
La mera ratifica del Parlamento pertanto non sarebbe plausibile?
No, anzi. Dovrebbe essere necessario un atto di indirizzo del Parlamento, non una discussione ex post per giunta da concludersi in tempi brevi e con un prendere o lasciare.
Il ddl Calderoli è costruito analogamente a quello che si è fatto per l’applicazione dell’articolo 8 della Costituzione nei rapporti tra Stato e confessioni religiose non cattoliche.
Ma si tratta di due situazioni profondamente diverse. In quest’ultimo caso si è verificata una larga parlamentarizzazione delle procedure, del “prima”, sulle bozze di accordo transitate la discussione c’è stata ed è restata la possibilità da parte del Parlamento di richiedere modifiche da negoziare con l’altra parete o di apportare modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge.
Nessun limite di competenze da delegare alle Regioni non è di per sé un limite?
Si tratta di una valutazione politica, ma a mio avviso sanità, istruzione e grandi reti non possono che essere nazionali e, queste ultime, in prospettiva europee.
La clausola di supremazia, che richiamavo pocanzi, semplificherebbe di molto le scelte da adottare, potendo lo Stato comunque intervenire se motivato. Un ultimo elemento: forse sarebbe opportuno fare una sorta di prova di resistenza, una valutazione di quali benefici e costi in chiave di gestione amministrativa e di possibili risultati di semplificazione si avrebbero con il trasferimento, se davvero migliorerebbe l’efficienza, se davvero ci sarebbero costi inferiori per i cittadini. Utile sarebbe lavorare per avere una modellistica di tipo organizzativo, capace di ispirare anche le scelte da fare sulla base del principio di sussidiarietà che muove sia verso il basso, sia verso l’alto. La sussidiarietà, ricordiamolo, non può essere solo devolutiva.