Misure strutturali e non più a singhiozzo per la crescita del Mezzogiorno

La logica della “proroga continua” di alcune misure non tiene conto dell’esigenza delle imprese di tempistiche più lunghe per la programmazione

 

Il Piano di Sviluppo per il Mezzogiorno continua ad essere un nodo centrale delle politiche di crescita del territorio, cui i Governi degli ultimi decenni si sono dedicati con apprezzabile zelo ed entusiasmo, ma che sembra lasci sempre qualcosa di incompiuto.

Guardando indietro all’ultimo ventennio, le leve di crescita studiate per il rilancio gravitano tutte intorno ad una serie di misure, tutte gradite, la cui efficacia/efficienza però si scontra con la decisione, meno ben voluta, di legare ognuno di tali interventi alle mutevoli esigenze con cui il Legislatore deve confrontarsi, anno dopo anno.

Tale decisione genera incertezza. Insomma, il ritardo atavico del territorio necessita meno di interventi variabili nel corso del tempo e più di un apparato strutturale, slegato da interventi di adeguamento, attuazione o rifinanziamento da attendere.

Ne è un esempio il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, la cui più recente formulazione deve ascriversi all’articolo 1, commi da 98 a 108, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Eppure, sebbene con qualche variante che ne ha affinato i meccanismi di applicazione, lo strumento è operativo sin dall’inizio del millennio (art. 8 della l.n. 388/00). La validità dello strumento è indiscussa. Supportare con un credito d’imposta lo sforzo delle economie del Mezzogiorno di implementare nuovi investimenti è certamente un ottimo volano per consentire loro di colmare il gap con il residuo tessuto imprenditoriale del territorio. Se così è, però, non si intuisce perché tale strumento non sia reso strutturale, in modo da garantirne la fruibilità per un lungo periodo a chiunque decida di realizzare un percorso di sviluppo in tali aree. Invece, il rinnovo a singhiozzo impedisce che l’incentivo in discussione abbia il peso che merita nella programmazione di tante imprese che vorrebbero investire nel Mezzogiorno. Ad esempio, la legge di Bilancio per il 2020 ha prolungato l’incentivo fino al 2020, con contestuale rifinanziamento della misura e adeguamento del modello telematico di richiesta. Ora la legge di Bilancio per il 2021 sposta in avanti il termine di utilizzo del bonus fino al 2022. Il modello di domanda, tuttavia, non è ancora disponibile. Appare evidente, però, che la logica della “proroga” continua non è la migliore esperibile, soprattutto per gli imprenditori che hanno bisogno di tempistiche per la programmazione più lunghe. Perché non rendere allora la misura strutturale, così da garantirne l’utilizzo nel medio lungo periodo e l’accessibilità con strumenti che non richiedono un aggiornamento continuo?

Non va trascurato, inoltre, che la realizzazione di investimenti nel Mezzogiorno si scontra anche con un avvilente rallentamento dovuto alla burocrazia del territorio. Un altro esempio rende più chiaro il concetto. La recente legge di Bilancio ha introdotto una detassazione fiscale per che investe nelle c.d. ZES. La previsione normativa si inserisce in un quadro di incentivi per tali aree che, al momento, sembra vedere nel bonus per gli investimenti l’unico strumento nazionale operativo. A dispetto, invero, di una articolata normativa di supporto, l’impressione è che sulle aree specifiche si faccia difficoltà – rapportandosi con le istituzioni del territorio – ad attuare con misure concrete le interessanti idee di sviluppo sottese dalla stessa normativa. Ora la legge di Bilancio in corso propone la detassazione parziale per le “nuove iniziative” impiantate nel ZES. Tuttavia, tale previsione potrebbe nascondere delle insidie. Prima di tutto perché la detassazione dovrebbe, per non vanificarsi, accompagnare una parallela crescita delle infrastrutture locali; inoltre, premiare con la detassazione le “nuove iniziative” potrebbe finire, attraverso tale vantaggio competitivo, per costituire un ostacolo proprio a quelle imprese che, invece, con mille difficoltà, già operano sul territorio e che non beneficerebbero del taglio delle imposte.

Sul fronte del supporto alla crescita del Mezzogiorno, vale la pena di considerare come buon auspicio quanto sostenuto recentemente da Carlo Cottarelli, secondo cui «… al Mezzogiorno debbano oggi andare…maggiori risorse Europee e nazionali rispetto a quelle che sono andate in passato …. la qualità delle istituzioni di un territorio è non meno importante della quantità di risorse che a quel territorio affluiscono» e dallo SVIMEZ che, sulla stessa lunghezza d’onda afferma che «per ridurre il divario Nord/Sud servono interventi di riforma della pubblica amministrazione più forti per il Sud, per colmare i divari nei diritti di cittadinanza».