Se anche lo Stato comincia a negoziare su quanto e come deve pagare i debiti di fornitura legittimamente vantati dalle imprese, il collasso sociale è inevitabile.
Lo ha detto Squinzi nel corso dell’Assemblea pubblica di Confindustria; la base associativa lo ha condiviso ma, soprattutto, sono le imprese a chiederlo. Razionalizzare i processi di pagamento a favore delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione è una necessità dovuta non solo dal generale momento di crisi – che imporrebbe allo Stato di non aggravare la condizione di insofferente liquidità che vessa le imprese del nostro tessuto imprenditoriale. La questione in ballo è molto più delicata. É in discussione, infatti, un complesso criterio di compliance fra Stato e cittadini, che rischia di innescare – a seconda dei punti di vista – reazioni da un lato violente e dall’altro di totale disaffezione alla res publica.
É fuori discussione che il nostro apparato tributario sia fra quelli più vessatori al mondo; poco male, se non fosse che il ritorno dei molti balzelli che corrispondiamo è di discutibile qualità. Tuttavia, a dispetto di ciò, siamo fra le Nazioni con un sistema di riscossione (gestito da Equitalia) fra i più efficienti. Nulla di sbagliato in ciò, se, però, anche il sistema di lotta all’evasione – per stanare quelli che non dichiarano e non pagano nulla – fosse altrettanto efficiente (pagare tutti per pagare meno).
Lo Stato latita nel sostegno alle imprese. Il nostro è un Paese che non sa gestire le agevolazioni per la nascita e lo sviluppo delle nuove imprese: ne concede poche e quelle che elargisce le distribuisce male e con effetti per nulla virtuosi.
Ogni anno la banca mondiale redige una classifica (doing business) che incolonna le economie più virtuose nel promuovere la nascita di nuove imprese. Nel 2013 l’Italia ha leggermente risalito la china, ma siamo ancora al settantatreesimo posto, dietro il Ruanda (sic !) e, soprattutto, fanalino di coda fra le economie europee (peggio di noi solo Grecia e Malta).
É l’insieme di questi fattori che preoccupa.
Se anche lo Stato comincia a negoziare su quanto e come deve pagare i debiti di fornitura legittimamente vantati dalle imprese, il collasso sociale è inevitabile.
Vanno, quindi, concluse nel più breve tempo possibile le modifiche al decreto sui pagamenti, orientandole nel senso che segue:
– il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti dovrà assumere una consistenza sempre più rilevante; se non interviene la garanzia della CDP, infatti, la banche saranno meno invogliate ad “acquistare” i crediti delle imprese;
– allentare il Patto di Stabilità; vanno eliminate le sanzioni per gli Enti meno virtuosi, altrimenti si rischia di innescare un circolo vizioso nei pagamenti che non farà che complicare la situazione;
– promuovere la convenzione con l’ABI; le somme provenienti dal pagamento dei debiti dovrebbero favorire la costituzione di un castelletto a favore delle imprese;
– i criteri di certificazione del credito dovrebbero divenire più snelli;
– anticipare la cosiddetta Fase 2 del provvedimento; il Governo dovrebbe potersi impegnare ad anticipare al 2014 il pagamento dei debiti eccedenti i 40 miliardi del plafond del decreto allo studio, nei limiti degli interventi che potranno essere delineati dalla prossima legge di stabilità.
Occorre fare subito ma, ovviamente, è necessario che il tutto venga fatto nel migliore dei modi. Il pericolo, lo ripetiamo, non è un crollo dell’economia, ma un crollo della fiducia verso le istituzioni (a Roma è andato a votare un cittadino su due), che non promette nulla di buono.