Novità in tema di start-up innovative

gianmatteo nunzianteQualche perplessità interessa le modifiche introdotte in tema di spese per ricerca e sviluppo e di qualifiche del personale impiegato: investire meno nella ricerca e sviluppo, così come abbassare il livello scientifico della compagine, potrebbe finire per impoverire la società

 

La figura della “start-up innovativa” è stata introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Sviluppo bis, prevedendo con l’occasione agevolazioni fiscali e semplificazioni che toccano tutte le fasi del ciclo di vita di una impresa innovativa, dalla nascita alla fase di sviluppo, fino alla sua eventuale estinzione.
A distanza di poco più di 6 mesi il Governo è intervenuto sul tema, allargando di fatto le maglie per accedere alla disciplina – più favorevole – delle start-up innovative (Decreto Legge n. 76 del 28 giugno 2013, contenente “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto e altre misure finanziarie urgenti”, in attesa di conversione in legge). Le modifiche introdotte rientrano tra gli “interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile”: e come tali sono state accolte per lo più favorevolmente.

LA DISCIPLINA GENERALE – Per start-up innovative si intendono, ai sensi del Decreto Sviluppo bis, quelle società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, di diritto italiano o Societas Europee, non quotate ad alta vocazione tecnologica e innovative, in possesso di taluni requisiti e più specificamente:
– maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria detenuta, al momento della costituzione e per i successivi 2 anni, da persone fisiche;
– costituita da non più di 4 anni;
– sede principale in Italia;
– valore della produzione annua risultante dall’ultimo bilancio, approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, a partire dal secondo anno di attività non superiore ai 5 milioni di euro;
– non distribuisce utili e non li deve aver distribuiti neppure in passato;
– oggetto sociale consistente esclusivamente o prevalentemente nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
– non è stata costituita attraverso una fusione o a seguito di una cessione d’azienda o di ramo d’azienda.

Per qualificarsi come start-up innovativa, la società deve altresì soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:
– deve sostenere spese in ricerca e in sviluppo in misura pari o superiore al 20% del maggiore tra il costo e il valore della produzione, risultanti dall’ultimo bilancio approvato e descritte in nota integrativa;
– deve impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro;
– deve essere titolare o depositaria o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività.

Anche una società già esistente alla data del 19 dicembre 2012, può rientrare quindi nella categoria delle start-up innovative, purché il legale rappresentante abbia provveduto a depositare presso il Registro delle Imprese, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione e, quindi, entro il 17 febbraio 2013, una dichiarazione attestante il possesso dei suddetti requisiti.
In questo caso la disciplina sulle start-up innovative trova applicazione per un periodo di tempo di quattro anni, se la società è stata costituita nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore del Decreto Sviluppo bis; tre anni, se è stata costituita nei tre anni precedenti; e due anni, se è stata costituita nei i quattro anni precedenti.
Quanto al regime pubblicitario, le start-up innovative devono iscriversi in un’apposita sezione del Registro delle Imprese istituita dalle Camere di Commercio, mediante una dichiarazione del legale rappresentante che va firmata digitalmente e periodicamente (entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio o comunque entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale) vanno aggiornati i dati depositati.
In caso di perdita dei requisiti, invece, le start-up innovative e gli incubatori sono cancellati d’ufficio dalla sezione speciale del Registro delle Imprese entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti, permanendo l’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese.

LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DL 76/2013 – Come si diceva, il DL 76/2013 è intervenuto sull’originaria disciplina allentando le “barriere all’ingresso” e, per l’effetto, ampliando la platea dei possibili destinatari delle agevolazioni.
Anzitutto viene abrogato il requisito della detenzione, da parte di persone fisiche, della maggioranza del capitale sociale – e dei diritti di voto – della start-up innovativa. La legge di conversione aveva già attenuato la portata di quanto inizialmente previsto dal Decreto Sviluppo bis, stabilendo che tale requisito dovesse essere rispettato soltanto nei primi due anni di vita della start-up innovativa: il DL 76/2013, sopprimendo l’art. 25, comma 2, lettera a) del Decreto Sviluppo bis, consente ora alle persone giuridiche di detenere, sin dalle prime battute, la maggioranza del – o addirittura l’intero – capitale sociale di una start-up innovativa. 

Vengono quindi attenuati i requisiti relativi alla spesa in ricerca e sviluppo e all’impiego di personale qualificato. Nel primo caso, la spesa dovrà essere pari o superiore al 15% del maggiore tra il costo e il valore della produzione, a fronte del 20% inizialmente stabilito dal Decreto Sviluppo bis. Nel secondo caso, sarà sufficiente alla start-up innovativa, per essere qualificata come tale, assumere personale in possesso di laurea magistrale, purché in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva: mentre inizialmente era richiesto l’ impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero. 

Il DL 76/2013allarga, infine, lo spettro delle privative la cui titolarità è richiesta al fine di accedere al regime speciale riservato alle start-up innovative. Al riguardo il Decreto Sviluppo bis richiedeva che la società fosse titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, purché direttamente afferenti all’oggetto sociale ed all’attività d’impresa: a queste si aggiungono ora i diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore.

CONSIDERAZIONI – Le innovazioni introdotte dal DL 76/2013 sono state accolte con benevolenza perché si ritiene che possano contribuire a risolvere il problema – urgente – dell’occupazione giovanile (obiettivo cui è rivolto, nello specifico, l’intervento del Governo).
L’apertura del capitale sociale alle persone giuridiche, senza limiti, potrebbe di fatto avere delle positive ricadute – seppure indirettamente – sull’occupazione se e nella misura in cui consentirà di risolvere il problema legato alla penuria di capitali a disposizione delle start-up: deficienza accentuata, certamente, dall’attuale sfavorevole congiuntura economica, ma dovuta anzitutto all’assenza, nel nostro Paese, di una vera cultura del Venture Capital. 

Grazie alla rimozione del limite partecipativo si amplierà giocoforza lo spettro dei possibili investitori (che non dovranno più essere in prevalenza persone fisiche) e si affermeranno, forse, forme di cooperazione più integrata tra imprese di diversa dimensione. Penso alle reti d’impresa e, più in generale, alle filiere produttive: potrà accadere, ad esempio, che le imprese in pool – o anche la sola capofila – decidano di investire in una particolare tecnologia innovativa entrando nel capitale sociale di una start-up titolare della relativa privativa.
Da un lato verrà così assicurata stabilità economico-finanziaria al proprio fornitore e, indirettamente, continuità nell’attività di sviluppo e ricerca: dall’altro lato, con un investimento iniziale relativamente contenuto, si parteciperà all’eventuale successo dell’iniziativa imprenditoriale. Questo ed altro verrà favorito dall’eliminazione dei limiti partecipativi al capitale sociale delle start-up.

Non per forza positive sono, invece, le modifiche introdotte in tema di spese per ricerca e sviluppo e di qualifiche del personale impiegato. Di fatto i requisiti sono ora meno stringenti, e quindi alla portata di un maggior numero di soggetti: ma siamo sicuri che questo sia davvero un bene? A fronte di una minor spesa nella ricerca e sviluppo le start-up potranno forse investire qualcosa in più nell’occupazione di giovani: ma, come si è visto, con minori costrizioni in termini di qualificazione professionale. Personalmente ritengo che le modifiche introdotte non vadano nella direzione giusta, per non dire che sono addirittura controproducenti. Il patrimonio delle start-up innovative è infatti costituito prevalentemente dalla preparazione tecnica di chi, a vario titolo, vi lavora e dal frutto della ricerca: investire meno nella ricerca e sviluppo, così come abbassare il livello scientifico della compagine, finisce per impoverire la società. Del resto basta solo ascoltare i Venture Capitalist per capire quanto la decisione del Governo sia stata miope: questi, infatti, nel valutare un possibile investimento guardano anzitutto ai brevetti di cui la società target sia titolare e al background – inteso come preparazione scientifica ed esperienza – dei suoi componenti. Maggiore la propensione alla ricerca, quindi, maggiori le possibilità che qualcuno investa nella start-up e che questa riesca a sviluppare la propria iniziativa imprenditoriale con successo e in tempi ragionevoli: una minore spesa nella ricerca, specie se accompagnata ad un livello di preparazione tecnico-scientifico men che eccellente, ritarderà invece gli investimenti e, con questi, tutto il resto.

Nulla quaestio sull’ultima modifica introdotta dal DL 76/2013 qui in commento, grazie alla quale anche la titolarità di privative relative ai programmi per elaboratori (software) rileva ai fini del riconoscimento della qualifica di start-up: sola condizione è che questi siano stati depositati presso il Registro pubblico per il software. Con ciò si è posto rimedio ad una lacuna, tanto più grave ove si consideri che le start-up operano tradizionalmente con preferenza nel settore dell’Information and Communications Technology (ICT).