Desta seria preoccupazione la sentenza che sembra introdurre, da parte dell’Agenzia delle Entrate, una sorta di sindacabilità a posteriori sulla correttezza o meno della scelta di allocare la partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie.
L’articolo 87 del DPR 917/86 (TUIR) stabilisce che le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sono esenti da IRES nella misura del 95% del loro ammontare, qualora vengano rispettati i ben noti quattro requisiti (la cc.dd. “Participation Exemption” o “PEX”).
I primi due requisiti, definiti soggettivi, perché riguardano il soggetto possessore della partecipazione, in sintesi, sono i seguenti:
1. ininterrotto possesso della partecipazione dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione;
2. classificazione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso dopo l’acquisizione (la “Prima Classificazione”). A tal proposito, vale la pena ricordare che l’iscrizione della partecipazione nell’attivo circolante del primo bilancio impedisce l’esenzione delle plusvalenze, anche qualora questa venga successivamente iscritta nelle immobilizzazioni finanziarie.
Gli altri, definiti oggettivi, perché hanno ad oggetto la partecipazione, in sintesi sono i seguenti:
3. residenza fiscale della partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato;
4. esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale, secondo la definizione di cui all’articolo 55 del TUIR.
Focalizzando l’attenzione sul requisito della Prima Classificazione, desta seria preoccupazione la recente sentenza della Cassazione n.26394/2023, in quanto sembra che introduca una sorta di sindacabilità a posteriori da parte dell’Agenzia delle Entrate, sulla correttezza o meno della scelta di allocare la partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie, e quindi, come nel caso in specie, sul riconoscimento della PEX.
La fattispecie riguardava la contestazione dell’Agenzia delle Entrate ad una società di aver classificato nel primo bilancio post acquisizione (2005) una partecipazione (azioni ENI) tra le immobilizzazioni finanziarie solo allo scopo di beneficiare della PEX, in quanto l’obiettivo degli amministratori era in realtà quella di un suo rapido smobilizzo. L’ADE riteneva che l’operazione di compravendita fosse finalizzata – nel breve termine – a speculare sull’apprezzamento delle azioni ENI, che tale disegno fosse già esistente al momento della Prima Classificazione e pertanto che la partecipazione dovesse essere classificata nell’attivo circolante (no PEX).
La prova regina addotta dall’ADE era rappresentata da una opzione CALL sulle azioni ENI venduta a terzi dalla società contribuente nel luglio del 2006 – ovvero nell’anno successivo a quello di acquisizione – ed esercitata, come si evince dalla sentenza, nel 2007. Anche per la Cassazione – e per le Corti di merito – la vendita dell’opzione, sebbene si trattasse di evento successivo all’approvazione del “primo bilancio”, dimostrava che gli amministratori avessero, non già cambiato idea sul destino della partecipazione, ma semplicemente, dato corso ad un disegno originario di smobilizzo rapido, che doveva comportare la scelta di contabilizzare le azioni ENI nell’attivo circolante e non tra le immobilizzazioni.
Da qui la censura di disegno elusivo. La Corte ha corroborato questa asserzione con una serie di argomentazioni (ma si dovrebbe dire “indizi”) non del tutto convincenti.
Un primo indizio sarebbe la nota integrativa del “primo bilancio” che non conteneva alcuna motivazione degli amministratori sulla scelta della Prima Classificazione tra le immobilizzazioni, lasciando intendere l’esistenza di una lacuna essenziale ad effetto fiscale.
Questo indizio non sembra però significativo, perchè le note integrative difficilmente spiegano il motivo “aziendale” di una classificazione, salvo che non sia essa stessa una riclassifica di una precedente allocazione, ma fanno sempre riferimento ai principi contabili rispettati. Per cui farne discendere pesanti conseguenze fiscali, sembra eccessivo.
Un secondo indizio riguarderebbe la tempistica della vendita dell’opzione, ritenuta troppo vicina all’approvazione del primo bilancio, per non essere preordinata ab initio.
A tal proposito, si osserva innanzitutto che, in assenza di disposizione di legge specifica, non sembra fondato considerare il rilascio di una opzione quale elemento ostativo della PEX. Inoltre, per retrodatare l’“impulso volitivo” della vendita dell’opzione alla data della Prima Classificazione, non è sufficiente che la sua formale esecuzione sia avvenuta qualche mese dopo, ma occorrono elementi più fattuali e non supplisce certo, a questo processo alle intenzioni, una mera presunzione, una congettura.
Un altro indizio si muove forse da una improvvida giustificazione data dal contribuente alla opzione CALL, la quale sarebbe stata ceduta solo per speculare sul ribasso del titolo ENI, ma senza obiettivi di vendita del sottostante.
La Cassazione ha ritenuto infatti inverosimile questa ipotesi, entrando anche in una analisi del trend borsistico di ENI, che – a parere dei giudici – non poteva far presagire a quell’epoca dei ribassi imminenti. L’unico rilievo che viene da fare è che la dissertazione a posteriori della Cassazione sull’andamento del mercato azionario e sui risultati dell’ENI, è quanto meno inusuale.
Questa sentenza pone una serie di interrogativi sui suoi possibili dirompenti effetti su ogni operazione di M&A o di sistemazioni partecipative, dove il rilascio al closing di opzioni PUT/CALL è usuale, come di prassi è anche la previsione di procedure per lo smobilizzo a termine delle partecipazioni.
In tali circostanze, dove si dovranno classificare le partecipate acquisite?
Non solo, ma si ritiene debbano essere analizzati anche i contratti preliminari, gli impegni subordinati ed ogni altra struttura contrattuale ad efficacia differita, che intervengano in un arco temporale non distante dal citato “primo bilancio”.
Insomma, considerati i possibili effetti negativi, speriamo che l’Agenzia delle Entrate non faccia, di questa controversa sentenza, una sineddoche.