Il Premier ha presentato il suo progetto di politica economica del valore di circa 80 miliardi. Tra i vari punti vi sono: riduzione IRAP del 10%, Irpef più leggera per i dipendenti con reddito lordo annuo inferiore a 25mila euro (beneficio quantificato=+1000€ annuali), aumenti delle dotazioni al Fondo di Garanzia, sblocco crediti residuali P.A. (68 miliardi entro luglio), più vari piani per casa, scuola e sanità
Nei giorni scorsi il Premier Renzi in tandem con il responsabile della spending review Cottarelli, in un’accorata conferenza stampa, ha presentato il suo progetto di politica economica (in power point, ça va sans dire).
Il suddetto progetto pare ambizioso e largamente condivisibile.
Tra i vari punti vi sono: riduzione IRAP del 10%, Irpef più leggera per i dipendenti con reddito lordo annuo inferiore a 25mila euro (beneficio quantificato=+1000€ annuali), aumenti delle dotazioni al Fondo di Garanzia, sblocco crediti residuali P.A. (68 miliardi entro luglio), più vari piani per casa, scuola e sanità.
Il costo totale della manovra si aggira intorno agli 80 miliardi.
Insomma, pare di essere finalmente giunta l’era di una politica espansiva, dopo anni di austerity, i cui risultati non sono stati esattamente eclatanti, con un crollo del PIL del 9.1%, tra il 2007 e il 2013.
Come tutti sanno, l’Italia si muove entro vincoli di bilancio piuttosto rigidi: di recente é arrivata l’ennesima bacchetta di Draghi perché l’Italia si mantiene intorno 3% di deficit per il 2013 contro il 2,6% raccomandato dall’Eurotower.
Pur riconoscendo che il bollettino da Francoforte è una pubblicazione programmata da tempo, una domanda sorge spontanea: quali sono le coperture finanziare per gli ambiziosi progetti del Governo?
Il Ministro Padoan si è diplomaticamente smarcato dalla domanda con la formula «non ho alcun commento da fare, ero in Commissione a seguire un decreto».
Facilitiamogli il compito e passiamo ad analizzare alcune (potenziali) incongruenze.
Bene, ma non benissimo: quel vizio dei “ragionieri” di fare i conti in tasca agli altri
– I miliardi della spending review indicati da Cottarelli ieri sono 3. Renzi ne aveva promessi 7.
– I miliardi di debito residuale pregresso delle P.A. sono 90 come sostiene Bankitalia, 50 come dice l’ex titolare Palazzo delle Finanze, Saccomanni o 68 come affermano Renzi-Cottarelli?
Attendiamo un DEF chiarificatore.
La solita vecchia nuova storia: rendite finanziare “pure”…
Il taglio del 10% dell’IRAP viene coperto con una “rimodulazione” (leggi aumento) dell’imposta sulle “rendite finanziare pure” dal 20 al 26%. Chi mastica un po’ di economia (come i professori Alesina e Giavazzi sul Corriere, per esempio), è rimasto confuso da questa definizione. Dalla manovra di ieri, pare che rientrino in questa categoria non solo i cosiddetti “capital gain”, ma anche interessi da obbligazioni private, dividendi e depositi. Sembrerebbero rimanere esclusi i BOT e il risparmio postale, la cui tassazione resta ferma al 12.5%.
Totale stimato della copertura: 2-3 miliardi.
Ad una prima occhiata sembra una manovra anticiclica che tutela il lavoratore, un equalizer contro la “finanza brutta e cattiva”, sulla scia della Tobin Tax (di cui ci siamo occupati qui: inserire link).
…ed esternalità negative
Come tutti i “giochi contabili” a somma 0, ciò che togli da una parte, prendi dall’altra. Nello specifico, il 26% di tassazione sulle rendite finanziarie è l’ultimo di una serie di rialzi sulle rendite finanziarie, iniziati da Tremonti nel 2011 (dal 12,5% al 20%, al 27% per gli interessi bancari) cui si deve sommare un’imposta di bollo del 2×1000 introdotta dal Governo Monti. Mario Seminerio ci fornisce un esempio numerico per uno degli strumenti più comuni, il deposito bancario.
Deposito da 100.000 euro con rendimento al 2%:
Reddito da interesse: €2000
Ritenuta d’imposta al 26%: 520 euro
Imposta di bollo 2×1000: 200 euro
Totale prelievo: 720 euro
PRESSIONE FISCALE TOTALE: 720/2000= 36%
Si pone poi, un problema di equità di trattamento: mantenere invariata la tassazione su BOT e depositi postali, rischia di rendere più complessa la collocazione di strumenti finanziari da parte dei privati nonché di aggravare i costi della raccolta diretta bancaria, sia attraverso depositi che obbligazioni, determinando un innalzamento del costo del credito per le imprese che lo utilizzano.
Macrocontabilità
Si potrebbe argomentare, come ha fatto il professor Monacelli su Twitter, che, in una situazione di Zero-Lower Bound, la manovra potrebbe avere degli effetti espansivi in termini di domanda aggregata: tassando maggiormente i “savers” e meno i “borrowers”, si favoriscono quegli individui con una alta propensione marginale al consumo, ottenendo simili a quelli di un aumento “una tantum” del tasso d’inflazione.
Tradotto: disincentivando il risparmio, si stimola l’aumento di consumi e investimenti.
Anche qui però, entra in gioco la contabilità: in un’economia aperta, ma con cambio fisso, come quella dell’Eurozona, un riequilibrio dei prezzi interni ottenuto tramite la riduzione del costo del lavoro rischia di finanziare domanda per le importazioni, con il rischio di squilibrare nuovamente la bilancia commerciale verso l’estero.
Senza dimenticare che il rapporto debito privato/PIL, identificato anche dalla BCE, nella figura del vice-governatore Vitor Constancio, come la principale causa della difficile situazione economica odierna è già intorno alla preoccupante soglia del 186% (dati al 2012).
Che l’esame di “Politica Economica” di Renzi sia una prova tecnica di patrimoniale?
La parola passa al ministro Padoan.