Penale d’Impresa 2.0

In agenda la discussione sulla delicata riforma del falso in bilancio e dei reati fiscali

 

Il Parlamento ha in calendario la riforma del falso in bilancio e dei reati fiscali. Temi, che, se mal gestiti, possono avere effetti negativi sulla ripresa economica. Infatti, norme ispirate dal solo obiettivo della repressione, attraverso dilatazioni di pene e dei tempi per applicarle, producono solo un incremento dei procedimenti bagatellari e una perdita di fiducia nell’intrapresa. Ciò, nonostante ogni possibile investimento in compliance.

 

Le linee guida della bozza del nuovo art.2621 cc, sul falso in bilancio per le società non quotate, sono le seguenti: 
a) i soggetti punibili con la reclusione da uno a cinque anni, sono gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti i sindaci e i liquidatori;
b) tale soggetti commettono reato quando per un ingiusto profitto, espongono o omettono fatti materiali rilevanti falsi e tali fatti sono in grado di fuorviare i terzi;
c) i documenti sensibili sono i bilanci o le altre comunicazioni al pubblico.

Rispetto alle norme vigenti, le pene aumentano sino a 5 anni e scompaiono le soglie numeriche, oggetto di tanta polemica.
Il reato diviene “di pericolo”, ne consegue che non è necessario il danno. Il reato si persegue d’ufficio, salvo il caso delle micro società (art.1 co2 RD 267/42), ove è necessaria la querela di parte (art.2621bis co2).
Le pene scendono ad un massimo di tre anni, quando i fatti sono di lieve entità (art. 2621bis co 1) e, grazie al DLGS 28/15 si può applicare la non punibilità “per particolare tenuità del fatto” (art. 2621ter cc.).
L’art.2622 cc. disciplina le società quotate, ma la struttura è identica.
 

 

È importante precisare che:
a) non vi sono casi di mitigazione della pena;
b) la pena arriva sino a 8 anni;
c) i falsi possono anche essere non “rilevanti”.
 

 

Sono soggette a tale disciplina:
(i) le società sottoposte a vigilanza;
(ii) le società controllanti di tali società.

Rimanendo all’ambito “non quotato“, il cuore del provvedimento rimangono le false informazioni che devono riguardare fatti rilevanti, e non qualunque circostanza, anche di natura valutativa e devono avere la fattualità reale nel fuorviare.
La “materialità” è certo un fatto positivo, in quanto circoscrive i delitti a situazioni significative, tuttavia rimane sempre una definizione qualitativa, che non risolve il tema della graduazione ex lege del reato.
In poche parole, la valutazione dell’entità dell’offesa viene comunque rimessa al giudice. Tale soluzione non è sempre convincente per varie ragioni.
La prima è che se la vicenda deve essere risolta dal giudice vuol dire che si è già incardinato un processo, con tutto quel che ne
consegue in termini reputazionali, di riorganizzazione, di costi, e così via.
Poi c’è il pericolo che non si formi subito una consolidata giurisprudenza sulla “materialità”, con la conseguenza di avere, all’inizio almeno, decisioni di ogni tipo e condanne o assoluzioni su base random.
Infine, se il nostro tessuto economico è composto per la quasi totalità da PMI (che non sono microimprese), non ha senso l’introduzione di un reato, senza alcuna soglia di rilevanza e con una sola macroclassificazione: quotate – non quotate.
Così operando, c’è il rischio (teorico quanto si vuole) che migliaia di società tra artigiani e piccoli imprenditori, possano vedere i loro amministratori incriminati perché alcune poste del loro bilancio sono fuorvianti.
Ma a chi interessa tutto ciò?
Nemmeno ai magistrati credo, i quali saranno obbligati ad indagare su ogni ipotesi di reato, con enorme dispendio di energie e di tempo. Occorrevano ed occorrono soglie e graduazioni numeriche, come per i reati fiscali.
La riforma del DLGS 74/2000 sui reati fiscali invece è ancora in freezer “politico”, ma lo schema di decreto nei suoi aspetti sostanziali è noto.
 

 

In sintesi, la riforma ripropone:
– reati di serie A: da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione;
– reati di serie B: da un anno e sei mesi a tre anni di reclusione;
– reati di mezzo: da un anno e sei mesi a quattro anni di reclusione.

 

Limitandoci ai casi più comuni, rientrano tra i reati di serie A: l’utilizzo di fatture false superiori a 1.000 euro (art.2), nonché la vera e propria “frode fiscale” (art.3), che si realizza qualora, congiuntamente, l’imposta evasa supera 30mila euro e la componente fittizia supera il 5% degli elementi attivi dichiarati ed in ogni caso supera euro 1,5mli. Resta reato grave l’emissione di fatture false, ma queste devono essere superiori a mille euro (art.8).
Meno grave si conferma il reato di dichiarazione infedele (art.4) – le cui soglie vengono tutte aumentate – che si realizza qualora, congiuntamente, l’imposta evasa supera 150mila euro e la componente sottratta supera il 10% degli elementi attivi dichiarati ed in ogni caso supera euro 3mli. I casi di non inerenza o non deducibilità di costi reali, che spesso hanno mandato a giudizio imprenditori, non causano dichiarazione infedele in quanto – seppur indeducibili – sono costi realmente sostenuti e contabilizzati. Il costo non documentato rimane fuori dalla non punibilità ma è un errore, in quanto la patente di costo documentato dipende dal giudizio dell’organo accertatore, notoriamente e, se si vuole, legittimamente interessato, di contro, a scovare evasione. Occorre una soluzione finale chesalvi, in qualche modo, i costi a “documentabilità contrastata”. 

Da ultimo, il reato di mezzo della omessa dichiarazione (art.5), la cui soglia di punibilità sale da 30k a 50k euro di imposte evase. Le novità sono due: la prima (art.13) prevede che il pagamento dei debiti tributari:
a) estingue i reati di dichiarazione omessa o infedele, nonché quelli sull’omesso versamento di IVA e ritenute dichiarate;
b) dimezza le pene previste per tutti gli altri delitti. La seconda, rivoluzionaria, (art.19bis) esclude la punibilità, quando l’importo dell’evasione non è superiore al tre per cento del reddito imponibile o dell’IVA dichiarata. Norma riferibile ai grandi gruppi, per i quali il superamento delle soglie di base si può dare per scontato.La bozza sui reati fiscali esprime il miglior tentativo per disciplinare una pena, che si base solo su dati numerici: soglie di punibilità fisse e variabili, cause estintive e di non punibilità e così via. Tuttavia, benché si tratti di una norma pensata senza manie persecutorie, l’esiguità delle soglie rischia di rendere del tutto ininfluente l’intera impalcatura. Si pensi alla frode fiscale, dove le soglie previste dalla Riforma mandano in carcere un amministratore per una imposta evasa di 30.000 euro su un costo indeducibile di 100.000 e su un fatturato di 2mli. Mi sembra eccessivo. In conclusione, le due riforme hanno ancora significativi margini di miglioramento, perché reati basati su numeri, devono per forza avere una soglia di irrilevanza non virtuale, rappresentata dal costo-beneficio per la collettività nel perseguirlo e una graduazione ex lege della pena. Solo così potrà evitarsi che le pene, alla fin fine, vengano determinate solo dalle capacità processuali delle parti o dalla sensibilità del giudice.