Prendersi una pausa dal mondo della comunicazione virtuale diventa necessario quando ti accorgi che la gente ti legge, ti scrive, ti mette like e ti commenta. Poi ci esci a cena e guarda il cellulare. Chi è senza peccato scagli il primo smartphone nel muro
Con il rientro dalle vacanze estive, che per molti di noi rappresenta il vero e proprio inizio di anno fatto di propositi e obiettivi da conseguire, mi sono impegnato a stare lontano dai social per qualche mese e, dopo 30 giorni esatti di disintossicazione, posso finalmente tirar fuori le prime somme e condividerle con i lettori di Costozero.
La prima cosa che mi ha lasciato sbigottito dopo la prima settimana di assenza è stata la reazione condivisa di molte persone con le quali ho, fortunatamente, un rapporto e modo di essere contattato anche fuori dalle app: la vox populi è che stessi male, mentre in realtà non solo stavo e sto benissimo, ma meglio di prima. Per dirvi a che livello siamo giunti, l’equazione possibile nella testa di chi vive il mondo attraverso uno schermo è che chi non è on line non sta bene. «No ragazzi, a non stare bene direi che siete voi», volevo rispondere, ma il bon ton mi precede quindi mi sono limitato a dire che mi sono preso una pausa per scrivere i capitoli finali del mio prossimo libro e che non leggeranno di me nelle pagine di cronaca nera.
La seconda è che finalmente si torna a parlarsi. La gente ti legge, ti scrive, ti mette like e ti commenta. Poi ci esci a cena e guarda il cellulare. Chi è senza peccato scagli il primo smartphone nel muro, i miei sono già distrutti, però che bello ricevere una chiamata che inizia con la disperazione di chi ti crede mezzo morto e finisce con una chiacchierata bilaterale. L’abbrutimento dei social fa sì che ciò che scambiamo per comunicazione sia in realtà al massimo informazione: ognuno di noi sente il bisogno di divulgare le proprie idee sperando in un dibattito che al massimo ti porta a casa un pollice su; si condivide il pranzo, la foto della vacanza, i piedi in mano alla coreana, ma non ci siamo mai fatti una domanda: a chi vuoi che gliene freghi realmente? Che emozione è stata per me ricevere la cartolina vecchio stile dalla mia amica Barbara, elegantissima e avventurosa che gira il mondo in van e si butta negli sport più estremi con la stessa falcata con la quale gira salotti letterari tra Casablanca e Milano. Dalla sua vacanza mi ha mandato una cartolina scritta a mano non un selfie, e questo mi ha smosso.
Sì, perché quando siamo dentro a una situazione spesso non ce ne rendiamo conto: abbiamo la convinzione che vedere ciò che postano le persone corrisponda a conoscerle sul serio. E l’attenuante, per chi ha il vizio di sparare giudizi senza approfondire è che chi posta è libero e responsabile di scegliere quale aspetto mostrare di sé.
Ed eccomi al terzo punto: ho realizzato che i social sono i ring dove si sfidano i codardi. Basti vedere quante ne sparano i nostri politici e come i toni si ridimensionano quando si trovano faccia a faccia.
Tutto questo può sembrare poco inerente al Galateo ma vi assicuro che non è così: perché bastano pochi giorni fuori dalla dimensione virtuale per capire che ciò che chiamiamo network, del network è il contrario stesso. La rete ha maglie troppo larghe, fa penetrare chiunque e con qualsiasi scopo e questo, se da un lato, ha reso i collegamenti più rapidi e informali, ha trasformato in più superficiali le conoscenze, i legami, e di conseguenza l’educazione. Come diceva una mia vecchia amica: «penetration is not introduction».