Perdite da cessione pro-soluto di crediti intercompany: possibile deduzione fiscale

Requisito necessario è che la cessione avvenga a favore di banche o altri intermediari finanziari vigilati, residenti in Italia o in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e che risultino indipendenti rispetto al soggetto cedente e al soggetto ceduto

La cessione pro-soluto di un credito, laddove effettuata a un valore inferiore a quello nominale, genera una perdita sui crediti (e non una minusvalenza) la cui deducibilità, tuttavia, non è automatica ma deve discendere da un’analisi che tenda sempre a verificare l’esistenza degli elementi certi e precisi, enunciati dall’art. 101 comma 5 del TUIR.

In buona sostanza, la cessione del credito pro-soluto, pur avendo un effetto estintivo del rapporto di credito, realizzando i presupposti per la conseguente derecognition dal bilancio, non esonera il cedente dalla dimostrazione della definitività della perdita realizzata e/o della superiore onerosità della procedura di recupero rispetto al valore effettivo del credito.

Questa posizione dell’Agenzia delle Entrate è anche confermata dalla sentenza 5790/2021 della Corte di Cassazione che, in aggiunta, ha precisato che il giudizio sulla deducibilità deve estendersi anche all’inerenza della perdita realizzata, o meglio alla congruità del corrispettivo pattuito per la cessione del credito a terzi.

Tale ulteriore requisito, tuttavia, si intende “automaticamente” realizzato, qualora la cessione avvenga a favore di banche o altri intermediari finanziari vigilati, residenti in Italia o in Paesi, che consentono un adeguato scambio di informazioni che risultino indipendenti rispetto al soggetto cedente e al soggetto ceduto (circolare Agenzia delle Entrate 26E del 2013).

Tuttavia, lo scenario si complica nei casi in cui oggetto della cessione sia un credito vantato nei confronti di una società controllata, posto che – anche laddove tale cessione avvenga a favore di intermediari vigilati, e quindi, sia effettuata a valori congrui “per definizione” – l’Agenzia potrebbe ritenerla censurabile sotto il profilo dell’abuso del diritto.

Questa considerazione scaturisce dalla circostanza che nei rapporti intercompany, l’adempimento o meno della controllata – debitrice potrebbe essere influenzato dalla volontà della controllante – creditrice. In pratica, la controllata potrebbe essere indotta, magari per fini elusivi, a non onorare il credito della creditrice stessa, al solo scopo di consentirne la cessione a terzi “vigilati” a basso prezzo, alterando quindi gli esiti dell’analisi di certezza e precisione, che incombe su quest’ultima.

Ciò induce da sempre, la prassi professionale ad analizzare con grande cautela le fattispecie di cessione di crediti intercompany, prestando attenzione anche allo scenario effettivo di gruppo, in cui si è determinata la perdita realizzata dalla controllante (ovvero dalla controllata, nei casi in cui sia essa la creditrice) e alla sostanza delle “prove” degli elementi certi e precisi. In sintesi, mancando l’indipendenza tra le parti, ogni scelta può non essere genuina.

La risposta n°102/2023 dell’Agenzia delle Entrate è interessante perché entra nella tematica sopra delineata, dando alcune indicazioni ben precise dei casi in cui una perdita da crediti intercompany ceduti a terzi, nonostante la mancanza di indipendenza, possa essere considerata deducibile.

La fattispecie aveva a oggetto un credito di una controllante, generatosi per effetto di una surrogazione di quest’ultima, nella creditoria di taluni istituti di credito verso alcune controllate, figlia della sostanziale escussione di una fideiussione prestata in loro favore dalla stessa controllante.

Tali surrogazioni erano, tra l’altro, avvenute nell’ambito di un complessivo piano di risanamento ex art. 67 L.F. del gruppo, nel quale erano stati definiti – occorre rimarcarlo – anche gli importi che sarebbero stati poi effettivamente rimborsati alla controllante in forza della suddetta surrogazione.

La richiesta della controllante sottoposta al vaglio dell’Agenzia delle Entrate era di poter cedere i crediti ex surrogazione a favore dei citati intermediari vigilati e di dedurre ai fini IRES la connessa perdita che si sarebbe generata. L’Agenzia, aderendo alla tesi della richiedente, ha affermato che nel caso in cui la controllante proceda alla cessione pro-soluto dei crediti di surrogazione in favore di operatori professionali terzi, devono ritenersi esistenti le condizioni evidenziate nella circolare 26E del 2013 e pertanto, è possibile dedurre le perdite da essa rivenienti, secondo l’art. 101 comma 5 del TUIR al momento stesso della cessione all’intermediario finanziario vigilato.

La Risposta dell’Agenzia è senza dubbio positiva per gli operatori, in quanto chiarisce in via definitiva gli effetti fiscali della cessione pro-soluto di crediti a intermediari vigilati.
Tuttavia, si ritiene che essa non possa essere applicata in modo generalizzato a tutte le possibili fattispecie di cessione di crediti intercompany in quanto, nel caso specifico, risultavano verificati de facto tutti i requisiti previsti – sia dal comma 5 citato, sia dalla sentenza della Cassazione sopra riportata – per la deduzione della perdita in una cessione di crediti.

Più in particolare, gli elementi certi e precisi erano rinvenibili nell’articolata procedura di risanamento ex art. 67 L.F. che aveva accertato l’impossibilità per la controllata di onorare i crediti ex surrogazione della controllante. Mentre, la compresenza della “inerenza”, intesa come congruità del corrispettivo di cessione, poteva ricercarsi, sia nel suddetto piano asseverato, sia naturalmente nella qualità di intermediario vigilato del cessionario.

Questi fatti oggettivi, in pratica, neutralizzavano ogni sospetto di interdipendenza nei comportamenti delle due parti. Infine, non può sottacersi la circostanza che il credito stesso derivava sostanzialmente dal subentro della controllante nei diritti degli istituti garantiti e non da un rapporto diretto controllante – controllata di natura commerciale o finanziaria.

Queste considerazioni, quindi, portano a concludere che ipotesi differenti, rispetto a quella rappresentata nella Risposta, potrebbero avere, a loro volta, differenti interpretazioni da parte dell’Agenzia. Mi riferisco in modo particolare, a tutte quelle fattispecie di cessione di crediti a terzi vigilati originati da rapporti commerciali o finanziari diretti tra controllante e controllata e/o che avvengano non in scenari regolamentati dalle norme sulla crisi d’impresa, in cui la famosa interdipendenza di scelte non è scongiurata.

Ad ogni caso la sua soluzione. L’Agenzia delle Entrate ragiona sempre così, e un approccio diverso in uno scenario diverso può non essere criticabile, almeno stavolta.