Permessi per l’assistenza ai familiari, istruzioni per un uso corretto

massimo ambron bigLa Cassazione non fa sconti neanche a chi li aveva utilizzati per scopi legittimi e utili, come la frequentazione di un corso di laurea di giorno, assicurando comunque attività assistenziale di sera

 

Con sentenza n. 17968/2016 pubblicata il 13 settembre scorso, la Corte Suprema di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di esercizio del diritto di cui all’art. 33 comma 3 Legge 104/92 la fruizione del permesso da parte del dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di una attività di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto, in quanto la tutela offerta dalla norma non ha funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per una assistenza comunque prestata. L’uso improprio del permesso può integrare secondo le circostanze del caso una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea anche a giustificare la sanzione espulsiva».

La Cassazione ha quindi non solo confermato la legittimità del licenziamento, ma ha anche condannato alle spese processuali la dipendente che aveva usufruito del permesso in maniera scorretta.
In verità la Cassazione ha confermato le decisioni espresse dai giudici di primo e secondo grado. Infatti, in primo grado il giudice del lavoro aveva respinto il ricorso della dipendente licenziata dal Comune di Villafranca di Verona e la Corte di Appello di Venezia, presso la quale la dipendente aveva presentato ricorso ne confermava la legittimità, in quanto era stato provato – attraverso le indagini e pedinamenti da parte della Polizia Giudiziaria – che la dipendente aveva utilizzato le 38 ore e mezzo concessele per seguire le lezioni presso la università ove era iscritta, invece che accudire la mamma affetta da grave handicap.

 

La dipendente ha ammesso, e non poteva fare altro considerate le prove schiaccianti, di avere frequentato le lezioni nelle ore di permesso, precisamente dalle 11 alle 13, ma ha sostenuto di avere comunque assicurato attività assistenziale la sera.

La Corte di Appello ha respinto tali difese, in quanto l’assistenza doveva necessariamente svolgersi in coincidenza temporale con i permessi accordati dal datore di lavoro che subisce un disagio organizzativo giustificato solo se effettivamente essi vengono utilizzati per scopi assistenziali e non altro. Aggravante nel caso in commento era il fatto che la dipendente lavorava all’ufficio del personale e, pertanto, era ben consapevole della normativa non rispettata.

La Cassazione nel respingere le motivazioni poste dalla dipendente per il ricorso sostiene che la ratio della norma ex art. 33 comma 3 della Legge 104/92 è ben chiara dalla sua lettura, in quanto il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito spetta al lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità. Quindi l’assenza dal lavoro è in stretta relazione con l’assistenza al disabile. Se questo non avviene, come nel caso in commento, si è in presenza di uso improprio o addirittura abuso del diritto; inoltre, la condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro scorretta, lesiva della buona fede e con danno alla organizzazione del lavoro. Indebita inoltre risulta anche la percezione della indennità relativa ai permessi di cui alla legge 104/92, erogata dall’Inps. È comportamento altresì particolarmente “odioso” perché può diffondere nell’opinione pubblica una posizione contraria a tali forme di assistenza tanto da indurre il legislatore a ridurre gli incentivi previsti per tali situazioni e quindi danneggiare posizioni genuine e rispettose delle normative vigenti.

In conclusione, sicuramente le contestazioni rese nei confronti della dipendente sono di tale gravità da giustificare il licenziamento. Forse potevano essere evitate se la norma in questione fosse stata più chiara nel precisare che l’assistenza doveva obbligatoriamente coincidere con gli orari di permesso concesso ex lege 104/92 e se vi fosse stata una diversa gestione interna del personale.