In virtù del principio di unitarietà dei segni distintivi, il preuso di un marchio, così come quello di altri segni distintivi, può comportare l’invalidità, per mancanza del requisito di novità, di un marchio successivamente registrato
Una interessante sentenza del Tribunale di Bologna, Sez. Imprese n. 159/2018, ha affrontato il problema della coesistenza del preuso di un segno distintivo con i marchi similari successivamente registrati da un’altra impresa.
Nel caso di specie, la società attrice chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare che l’utilizzo da parte della convenuta di un determinato marchio costituiva una contraffazione dei marchi registrati dall’attrice stessa, nonché violazione della propria denominazione sociale e atto di concorrenza sleale. A sua volta la convenuta chiedeva in via riconvenzionale dichiararsi, nei confronti dell’attrice, la nullità di un marchio nazionale figurativo e di un marchio nazionale denominativo successivamente esteso con marchio internazionale, nonché sotto altro profilo, accertare la nullità dei marchi attorei per evidente malafede del depositante.
La società attrice invero deduceva di avere utilizzato sin dal 1990 uno specifico segno distintivo quale marchio per contraddistinguere parte dei propri prodotti, lo stesso avrebbe così acquisito nel tempo notevole notorietà, anche grazie all’attività commerciale e promozionale svolta, e di avere registrato nell’anno 2000 una serie di marchi nazionali e comunitari, aventi ad oggetto tale segno distintivo. Esponeva altresì l’attrice che la società convenuta aveva depositato il 19.9.2013 domanda di un marchio nazionale figurativo per contraddistinguere un’ampia serie di prodotti e servizi per i quali i marchi della prima erano stati registrati; chiedeva pertanto, ai sensi della normativa in materia di proprietà industriale nazionale e comunitaria, di accertare la violazione da parte della convenuta, dei diritti sui suoi marchi registrati e sulla sua denominazione sociale, nonché l’accertamento della sussistenza di una fattispecie di concorrenza sleale per confusione ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c., e disporsi l’inibitoria dall’utilizzo del segno distintivo, il ritiro dal commercio dei relativi prodotti e la pubblicazione della sentenza su due noti quotidiani nazionali; nonché la condanna della convenuta al risarcimento del danno e alla retroversione degli utili ex art. 125 CPI, deducendo come l’attività posta in essere dalla stessa avesse causato un danno da “diluizione” al proprio marchio, sia sotto il profilo dell’infangamento, che sotto quello della perdita di unicità distintiva.
La società convenuta, costituendosi in giudizio, precisava di operare ininterrottamente da 38 anni nel settore della produzione e commercio di utensili manuali e professionali per l’industria e per l’after market e, dopo avere chiarito di avere sempre effettuato ingenti investimenti per la promozione dei propri prodotti, esponeva di aver sin dall’inizio della propria attività imprenditoriale, risalente al 1977, utilizzato, sia come denominazione sociale che come marchio di fatto, il segno distintivo il cui utilizzo era oggetto di contestazione, così acquisendo, con riferimento allo stesso, una notorietà estesa e qualificata, idonea a fondare il diritto all’uso esclusivo del segno come marchio di fatto e come denominazione sociale, peraltro successivamente fatto oggetto di domanda di registrazione presso le competenti autorità come nome a dominio (nel 1999) e come marchio registrato (nel 2013). La convenuta deduceva inoltre, in via riconvenzionale, che la condotta tenuta dall’attrice, che aveva registrato il nuovo segno distintivo, procedendo nel 2011 anche alla modifica della denominazione sociale, integrava una condotta scorretta, sia con riferimento al profilo della concorrenza sleale per confusione ai sensi dell’art. 2598 n. 1) c.c., che con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 2598 n. 3) c.c. , quale ipotesi di adozione di mezzi non conformi alla correttezza professionale.
Ne conseguiva pertanto secondo la convenuta in primo luogo la nullità dei marchi nazionali e comunitari registrati dalla società attrice aventi ad oggetto il segno distintivo oggetto di contestazione, in quanto utilizzato di fatto e preventivamente come marchio della convenuta; in secondo luogo, asseriva la nullità degli stessi segni, in quanto registrati in malafede, in violazione della normativa nazionale e comunitaria. Orbene, l’art. 20 del CPI, sancisce, al primo comma lett. b), «che il titolare del marchio ha facoltà di uso esclusivo e può vietare a terzi di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità tra prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni».
Nello specifico la tesi della convenuta di avere pre-usato il proprio marchio, è stata considerata fondata dal Tribunale, il quale ha ritenuto sussistere in capo alla stessa, il preuso con notorietà generale per prodotti di ferramenta sin da epoca antecedente alla domanda di registrazione del marchio della società attrice. Il Tribunale evidenzia, in particolare, che la notorietà del segno come marchio, implica che il marchio di fatto, per costituire anteriorità invalidante del successivo marchio registrato, deve, in primo luogo, essere stato pre-utilizzato effettivamente come marchio per i prodotti interessati; in secondo luogo, il preuso deve essere caratterizzato da notorietà non solo locale; infine l’uso effettivo del segno deve essere stato omogeneo e costante nel tempo. Nel caso di specie è stata ritenuta raggiunta la prova documentale che il segno distintivo oggetto di contestazione fosse stato preutilizzato dalla convenuta con le modalità sopra descritte.
Accertato pertanto il preuso, secondo il Tribunale ne consegue l’impossibilità di accertare la contraffazione dei marchi registrati dall’attrice. Per quanto riguarda invece la domanda proposta in via riconvenzionale dalla società convenuta, occorre evidenziare che: l’art. 28.1 del CPI (convalidazione) prevede al suo primo comma che «Il titolare di un marchio di impresa anteriore e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso d un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all’uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede, il titolare del marchio posteriore non può opporsi all’uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso».
Per quanto attiene invece al marchio figurativo comunitario, l’art.54 del Regolamento (CE) n. 207/2009 del 26 febbraio 2009 prevede che: «1. Il titolare di un marchio comunitario che, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso di un marchio comunitario posteriore nella Comunità, essendo al corrente di tale uso, sulla base del marchio anteriore non può più domandare la nullità del marchio posteriore né opporsi all’uso di quest’ultimo con riferimento ai prodotti o ai servizi per i quali esso è stato utilizzato, a meno che il deposito del marchio comunitario posteriore non sia stato effettuato in malafede. 2. Il titolare di un marchio anteriore di cui all’articolo 8, paragrafo 2, o di un altro contrassegno anteriore di cui all’articolo 8, paragrafo 4 che, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso di un marchio comunitario posteriore nello Stato membro in cui il marchio anteriore ovvero l’altro contrassegno anteriore è tutelato, essendo al corrente di tale uso, sulla base del marchio o dell’altro contrassegno anteriore non può più domandare la nullità né opporsi all’uso del marchio posteriore con riferimento ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio posteriore è stato utilizzato, a meno che il deposito del marchio comunitario posteriore non sia stato effettuato in malafede. 3. Nei casi di cui ai paragrafi 1 o 2, il titolare di un marchio comunitario posteriore non ha la facoltà di opporsi all’esercizio del diritto anteriore, benché tale diritto non possa più essere fatto valere nei confronti del marchio comunitario posteriore». Le considerazioni sopra svolte comportano nel caso di specie una legittima coesistenza tra i due segni; tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che tale coesistenza debba indurre all’inserimento, da parte di entrambi i titolari, di modifiche ai rispettivi segni, al fine di escludere le conseguenze della confusione sul mercato.
Il Tribunale giunge in definitiva al rigetto delle domande proposte dalla parte attrice nei confronti della parte convenuta e all’accoglimento parziale della domanda riconvenzionale proposta dalla società convenuta nei confronti dell’attrice, dichiarando, tra l’altro la nullità di un marchio denominativo e di uno figurativo dell’attrice.