Per il vice direttore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno bisogna rendere il Sud del Paese attrattivo, rilanciando gli investimenti pubblici: «Abbiamo avuto la conferma che, quando aumentano, anche di poco come nel 2015, il Sud reagisce, il moltiplicatore funziona, genera reddito. E oggi, sono una le va indispensabile per l’attivazione e lo stimolo di quelli privati»
Nel suo ultimo recente Rapporto – ottobre 2016 – la Svimez ha smesso i toni apocalittici, certif icando che il Pil del Mezzogiorno è tornato a crescere. Eppure, solo un anno fa, lei diceva che il Sud era come la Grecia. Cosa è successo? Aggiustamenti congiunturali o qualcosa è cambiato davvero?
No, nessuna apocalisse. Il pessimismo o l’ottimismo non è mai nei dati, ma negli occhi di chi li guarda. L’anno scorso abbiamo dato conto degli effetti profondi, sull’economia, la società, la demografia, di sette anni di recessione ininterrotta. Quest’anno, coi dati del 2015 e 2016, rileviamo una ripartenza in un quadro di persistente sofferenza sociale. Una ripartenza ancora modesta, non adeguata a recuperare quanto perduto, ma molto importante, e non solo perché nel 2015 il Sud è andato un po’ meglio del Centro-Nord. La ripresa dimostra che il Mezzogiorno non è un vuoto a perdere, o una pentola bucata: il Sud ha sete ma, se si investe, risponde ed è anche più reattivo del resto del Paese. Il Sud è una grande questione e una grande sfida europea. Per questo la politica relativa al
Mezzogiorno deve essere necessariamente coerente, da Roma a Bruxelles.
L’accostamento fatto con la Grecia, lo scorso anno, non voleva sottolineare una inevitabile comune sventura, ma la consapevolezza di un destino comune tra le aree meridionali dell’Europa e della Eurozona in particolare.
Buone performance per agricoltura e turismo. E l’industria?
Sì, c’è stato un vero e proprio boom nei due settori, sia sul versante della produzione, sia su quello dell’occupazione. Nel 2015 l’annata agraria, dovuta anche agli andamenti climatici e alle variazioni dei prezzi, è stata sorprendente. Il turismo meridionale ha beneficiato delle drammatiche crisi che – ahinoi – stanno travagliando la sponda Sud del Mediterraneo. Ma sono due settori su cui continuare a puntare, non affidandosi all’eccezionalità degli eventi, anche perché sono due comparti in cui le potenzialità del Sud sono straordinarie e ampiamente sottoutilizzate. Cogliamo segnali positivi anche per l’anno in corso. E poi, vorrei dire, che questa distinzione tradizionale a volte non dice molto: agricoltura, turismo, industria, servizi, sono sempre più interconnessi, e così dev’essere. Ma, va pur detto, che una crescita senza industria ha basi troppo deboli: un elemento di preoccupazione per il 2015 fu la mancata crescita dell’industria, a fronte di una leggera ripresa delle costruzioni (anche se, guardando bene, al netto dei prodotti energetici, il manifatturiero riprendeva). Quest’anno, dai segnali sull’occupazione, sembra stia avvenendo il contrario: in ogni caso, è lì che bisogna puntare. Per questa ragione quest’anno abbiamo avanzato nuove proposte di una politica industriale specifica e adeguata per il Mezzogiorno, anche per Industria 4.0.
Nel Rapporto, però, si parla di “nuovi poveri”. Malgrado ciò la disponibilità di quei cinquecento milioni che dovevano rappresentare le risorse governative per la lotta alla povertà sono spariti nella Legge di Bilancio di quest’anno.
Noi indichiamo una direzione opposta. Bene la previsione di una misura universalistica di contrasto alla povertà (nella Legge di stabilità dello scorso anno), ma serve un progressivo incremento dei finanziamenti, che renda disponibile nel breve periodo un ammontare di risorse in grado di raggiungere la totalità, o almeno la maggior parte, dei 4,5 milioni di persone che in Italia attualmente versano in condizioni di povertà assoluta.
La questione del costo delle misure anti-povertà deve considerare sempre i benefici effetti del nesso tra maggiore equità e crescita, anche in termini di ricadute sui consumi, sulla domanda interna. E bisognerebbe fare un’analisi razionale ogni volta che si fanno scelte redistributive: se una parte delle risorse impiegate per l’abolizione della tassazione sugli immobili fosse stata utilizzata per combattere la povertà, al di là di ogni giudizio di valore, l’economia ci avrebbe guadagnato.
Sui fondi strutturali si sono compiuti passi in avanti? Sta funzionando l’Agenzia per la Coesione Territoriale?
Il ciclo 2007-2013 è stato il più critico della storia recente della coesione al Sud, con delle eccezioni, come la Puglia e Basilicata. Le correzioni intervenute dal 2011, a partire dall’espediente del PAC, hanno consentito il risultato importante e non scontato di un pressoché totale assorbimento delle risorse europee. E su questo sicuramente l’impegno dell’Agenzia e delle amministrazioni coinvolte è stato fruttuoso. Tuttavia, va segnalato che si tratta solo dei Fondi europei, che sono una piccola quota della già piccola quota di spese per investimenti.
C’è stata una totale mancanza di aggiuntività e addizionalità, una “duplice” sostitutività: sul piano “interno”, delle risorse europee su quelle nazionali; in generale, delle risorse “aggiuntive” sulla spesa ordinaria per investimenti della PA, il vero “buco nero” dello sviluppo in questi anni. In chiusura del ciclo, l’intenso sforzo per evitare il disimpegno, in qualche caso, ha persino aumentato la sostitutività: il ricorso ai cosiddetti progetti “sponda”, ora chiamati “progetti retrospettivi”, ha avuto un effetto di “spiazzamento” sul PAC e, soprattutto, sul FSC.
La strada per la ripresa per la Svimez passa sempre dal rilancio degli investimenti pubblici secondo precisi driver. Quali?
Sì, e per fortuna a dirlo non siamo solo noi. Sappiamo gli effetti negativi del crollo degli investimenti pubblici. Abbiamo avuto la conferma che, quando aumentano, anche di poco come nel 2015, il Sud reagisce, il moltiplicatore funziona, genera reddito.
E oggi, nelle condizioni date, gli investimenti pubblici sono una leva indispensabile per l’attivazione e lo stimolo di quelli privati. Non si tratta di scavare buche e poi riempirle, si tratta di fare esattamente quello di cui il Sud ha bisogno per essere attrattivo: dalle infrastrutture materiali e immateriali, alle reti, al riassetto del territorio.
In questa prospettiva, la SVIMEZ da qualche anno, con progressivi approfondimenti, ha proposto alcuni driver di sviluppo, cioè motori che possono fare del Sud un’opportunità di sviluppo per l’intero Paese: la logistica in una prospettiva euromediterranea, le energie rinnovabili e le bio energie, la rigenerazione urbana, l’agroalimentare e l’agroindustria con tutti i settori ad essi collegati, l’industria culturale, a partire dalla scommessa di “Matera 2019”. Insomma, non è vero che quando si parla di Sud non si sa che fare. Si sa, e bisogna farlo in fretta.