Se il peso dell’economia sommersa e illegale in Italia scendesse al livello medio dei Paesi dell’area euro, sarebbe possibile recuperare il 2,5% del PIL nazionale pari a un valore di circa 40 miliardi di euro. Il dato italiano è, a sua volta, una media di realtà diverse, dove il Sud spicca per un’incidenza di economia sommersa e criminale di 8 punti superiore al dato nazionale
SRM ha presentato il 7 febbraio scorso, presso la sede del Banco di Napoli, il nuovo numero monografico della rivista internazionale Rassegna Economica, dal titolo “Reati economici ed efficienza della giustizia: impatti sul rischio di credito”. La Rassegna Economica segue e documenta il divenire del Sud d’Italia nel contesto nazionale e internazionale fornendo, con i suoi articoli, un forte contributo di idee alla conoscenza e all’approfondimento delle tematiche economiche e finanziarie del Mezzogiorno e del Paese.
Il nuovo numero monografico prosegue il filone dei temi affrontati nei tre anni passati (il peso dell’economia sommersa e illegale prima, le imprese sequestrate alla criminalità organizzata, la relazione tra credito e giustizia e il relativo impatto sulle dinamiche economiche) analizzando il rapporto tra il peso dell’economia illegale e sommersa sul territorio, la funzionalità ed efficienza della sfera giudiziale e la competitività del sistema economico e finanziario, esaminando altresì l’incidenza di queste dinamiche sul rischio di credito. L’analisi dei fenomeni e delle relazioni in atto tra giustizia, mondo del credito e sistema economico e imprenditoriale ha consentito di evidenziare i nodi da sciogliere e i terreni sui quali agire per frenare le logiche distorsive del mercato e incentivare le dinamiche di sviluppo dei territori.
Tra i paesi europei, l’Italia si distingue per un più elevato livello di economia sommersa e criminale. L’economia non osservata (denominata NOENon Observed Economy) in Italia è il 20,6% del PIL nazionale. Essa è composto da circa il 18% di economia sommersa e da circa il 2,6% di economia illegale «produttiva». Una cifra che si stima ben superiore ai 310 miliardi di euro. Illegalità e sommerso riducono la competitività del sistema Paese, con innumerevoli conseguenze negative su diversi fattori dell’economia, come l’attrattività di investimenti esteri e la concorrenza sleale verso le imprese sane. La trasparenza dei bilanci è meno elevata e più difficile risulta l’esercizio del merito di credito da parte delle banche. Una maggiore densità criminale fa salire il costo del credito per le imprese e condiziona negativamente il volume di risorse finanziarie fornite dalle banche al sistema produttivo. Illegalità e sommerso incidono anche sul PIL potenziale riducendone le attese di crescita. Se il peso dell’economia sommersa e illegale in Italia scendesse al livello medio dei Paesi dell’area euro, sarebbe possibile recuperare il 2,5% del PIL nazionale pari a un valore di circa 40 miliardi di euro. Il dato italiano è a sua volta una media di realtà significativamente diverse, dove il Mezzogiorno spicca per un’incidenza di economia sommersa e criminale di 8 punti superiore al dato nazionale (un valore intorno al 28,6% del PIL della Macroarea). In questo caso la stima è poco superiore ai 100 miliardi di euro, e il valore recuperabile – ipotizzando un allineamento alle medie nazionali – sarebbe di circa 13 miliardi di euro pari al 3,6% del PIL locale.
La perdita di valore aggiunto causata dall’illegalità deve trovare un contrappeso nell’efficienza del sistema giudiziario, e sebbene l’Italia sia ancora lontana nella classifica europee per la durata dei processi e per i costi connessi alla risoluzione delle controversie commerciali, si intravedono significativi miglioramenti non solo sui tempi dei procedimenti ma anche sul versante della digitalizzazione. Gli indicatori pubblicati nel rapporto Doing Business 2017 della World Bank evidenziano che le limitatezze e le imperfezioni del nostro Paese sono in via di miglioramento, proprio per i provvedimenti volti a migliorare il contesto istituzionale.
L’Italia è al 108° posto nel ranking delle 190 economie prese in esame dal Rapporto quanto a capacità di far rispettare i contratti (ease of enforcing contracts), in salita rispetto alla posizione precedentemente detenuta. Il nostro Paese è, invece, al 25° posto quanto a capacità di risoluzione dell’insolvenza e procedure concorsuali (ease of resolving insolvency), anche in questo caso in salita rispetto al posto detenuto in passato. La durata della procedura per la risoluzione di una controversia commerciale standard è in Italia di 1.120 giorni, con un costo che è pari al 23% del valore della controversia (contro i 510 giorni della Spagna, 437 giorni del Regno Unito e 395 giorni della Francia). Tale durata (disposition time) è però in diminuzione. Relativamente al 1° grado di giudizio si è passati da 620 a 532 giorni tra il 2010 e il 2014.
I dati di ricognizione della performance del sistema evidenziano segnali positivi riguardo al numero sia di pratiche pendenti, sia di nuove iscrizioni, che risultano entrambe in diminuzione. Il numero dei procedimenti pendenti nel complesso degli Uffici giudiziari civili di ogni grado è passato da circa 5,45 milioni alla fine dell’anno giudiziario 2009-10 a circa 3,8 a fine 2015. Mentre il numero dei procedimenti iscritti da circa 4,8 milioni nell’anno giudiziario 2009-2010 a 3,5 milioni nel 2014-15. Questo percorso va accelerato perché l’efficienza della giustizia avrebbe effetti positivi sulla ripresa economica, facendo accrescere gli investimenti esteri e rafforzando il sistema bancario. Si stima che se la lunghezza media dei procedimenti si riducesse del 10% la dimensione media delle imprese italiane crescerebbe di circa il 2%. Inoltre, la certezza del quadro normativo ed i tempi della giustizia civile sono tra i fattori più rilevanti a cui le imprese estere guardano per investire in Italia; in una survey dedicata di Aibi-Cerved essi sono rispettivamente al 4° e 5° posto in graduatoria, dietro il carico normativo/ burocratico e quello fiscale. Efficienza della giustizia e peso dell’illegalità sono fattori che incidono direttamente sulla competitività del sistema economico, finanziario e imprenditoriale del nostro Paese.
Creare percorsi di rinforzamento della fiducia di cittadini e imprese nel rispetto delle regole, impattando sulla legalità del tessuto economico e sociale, significa innescare un circolo virtuoso del quale l’economia si avvantaggia e si accresce, generando ricchezza che dà stabilità finanziaria al sistema, riduce la possibilità di default individuali e collettivi, creando occupazione che genera a sua volta ulteriore mercato e, quindi, nuova ricchezza.