Le aziende devono adoperarsi al più presto per scongiurare il rischio di incorrere, in perfetta buona fede, in tali gravi fattispecie per superficialità, mancanza di controllo o insufficiente informazione
La responsabilità amministrativa colpisce le imprese coinvolte in una casistica tassativa di reati, commessi nell’interesse delle stesse, da persone fisiche con funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione (gli “apicali”) oppure da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza degli apicali, laddove non abbiano agito nell’interesse proprio o di terzi (i “sottoposti”).
La prova della commissione del reato è genericamente rappresentata dall’identificazione di un deficit organizzativo dell’impresa, rispetto ad un modello di diligenza “standard”, che si presume debba sussistere in ogni impresa adeguatamente strutturata. Nel concreto, l’esonero da responsabilità è ottenibile, con riferimento agli apicali, laddove si dimostri che l’impresa ha adottato e attuato un modello di organizzazione, gestione, vigilanza e controllo, idoneo a prevenire i reati previsti dalla normativa.
Tale principio di manleva, ovviamente, va poi declinato attraverso una serie di attività e di presidi abbastanza tipici e consolidati. Con riferimento ai sottoposti, invece, l’esonero presuppone la prova che il fatto non sia dipeso dal mancato adempimento agli obblighi di direzione e vigilanza da parte degli apicali. In questo coacervo di adempimenti e regole generali, vengono a inserirsi l’articolo 39 comma 2 del DL 124/2019 e l’articolo 5 del DLGS 75/2020, che hanno ampliato i reati che possono determinare la responsabilità amministrativa delle imprese, come disciplinata dal D.Lgs. 231/2001, estendendoli anche a quelli di natura tributaria.
Il nuovo art.25quinquiesdecies del D.Lgs. 231, pertanto, “punisce” le imprese nel caso di commissione di alcuni gravi reati tributari quali:
- dichiarazione fraudolenta conseguente a operazioni inesistenti mediante l’utilizzo di documenti o fatture false;
- dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
- emissione di fatture false;
- dichiarazione infedele, indebita compensazione od omessa presentazione asservite a operazioni transfrontaliere fraudolente, con IVA evasa pari o superiore a 10milioni di euro;
- occultamento e distruzione delle scritture contabili, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Le sanzioni ai fini del D.Lgs. 231, che vanno a sommarsi ovviamente a quelle canoniche previste dal D.Lgs. 74/2000, consistono nel pagamento in denaro di “quote” (500 o 400 a seconda dei casi) e nelle più invasive sanzioni interdittive sulle attività di impresa (divieto di contrarre con la PA, esclusione o revoca di ogni forma di sussidio pubblico, divieto di pubblicizzare beni e servizi). Senza dimenticare la sanzione della confisca, anche per equivalente, del profitto da reato (con conseguente applicabilità del sequestro preventivo e del prelievo diretto sui conti correnti).
Insomma, tutte cose che possono effettivamente pregiudicare il normale andamento di un’impresa. È evidente pertanto che, nel presupposto ineludibile di un contesto imprenditoriale sano, le imprese devono adoperarsi al più presto per scongiurare il rischio di incorrere, in perfetta buona fede, in tali gravi fattispecie per superficialità, mancanza di controllo o insufficiente informazione. La dimostrazione della estraneità dell’impresa al reato ha come presupposto essenziale l’aggiornamento dei modelli organizzativi, che si realizza attraverso l’adozione di sistemi di gestione del rischio fiscale adeguati.
Essi devono avere il necessario taglio specifico, in base alla tipologia di attività svolta e prevedere procedure molto precise e dettagliate, con riferimento, ad esempio, alle operazioni di acquisto e vendita di beni e servizi, alle operazioni estere o con parti correlate e a quelle di maggiore significatività. Queste procedure devono essere anche inserite strutturalmente nel sistema di governo aziendale e di controllo interno, effettivamente attuate e il loro generalizzato rispetto deve essere costantemente monitorato dagli organi all’uopo nominati.
Si precisa che l’adozione del modello organizzativo sul rischio fiscale è senz’altro idoneo a escludere la responsabilità dell’impresa nel caso di reato commesso da sottoposti, tuttavia se tale reato è commesso da un apicale, occorre dimostrare anche che l’autore abbia deliberatamente assunto una condotta fraudolenta elusiva delle prescrizioni del suddetto modello. La Guardia di Finanza con circolare 0216816/2020 del 1° settembre 2020 ha chiarito, in via semplificatoria, che possono essere utilizzate allo scopo anche le procedure di cui al “Tax Control Framework”, sebbene esse da un punto di vista di processo, non siano perfettamente sovrapponibili alle norme del D.Lgs. 231.
Con riferimento invece al tema generale delle confische e dei sequestri – laddove non si tratti di casi di programmi criminosi strutturali o commessi in ambito di fenomeni di criminalità organizzata – ai fini di attenuarne il rischio di applicabilità, occorre dimostrare che il fatto penalmente rilevante occorso, sia del tutto episodico o occasionale, produttivo di modesto arricchimento e commesso fuori dalle logiche di un modello organizzato (così anche la Corte Cost. 33/2018).
In conclusione, il consiglio che viene naturale dare alle imprese, soprattutto nel nostro Paese dove l’evasione ha spesso natura interpretativa, è di non preoccuparsi di quanto possa costare un sistema di gestione di rischio, ma di intervenire a risolvere il tema. E in tempi rapidi.