L’attuale modello di business è ormai superato e va ripensato
Dottoressa Revello, da tempo Confindustria spinge sulla responsabilità sociale delle imprese. Quali i risultati? Le aziende stanno evolvendo verso un modello di economia sostenibile?
In Confindustria abbiamo iniziato ad occuparci di responsabilità sociale d’impresa nel 2008, quando stavamo attraversando una fase critica dell’economia a livello globale, data dagli eccessi di un mercato sregolato che ha prodotto seri problemi sul piano della finanza con gravi ripercussioni sull’economia reale.
Con la Commissione Cultura è stato quindi necessario indirizzare le imprese associate alla luce di questa nuova situazione.
La stessa responsabilità sociale d’impresa era allora associata alla cultura d’impresa, considerata un argomento da salotto più che di governance.
Già allora, però, Confindustria ha saputo coglierne il valore strategico e ha messo a punto degli strumenti che permettessero di leggerla all’interno della pianificazione di impresa, nella sua accezione di sostenibilità ambientale, finanziaria e sociale. In quegli anni sono state messe a punto insieme alla Luiss le prime linee guida per le PMI sugli indicatori di sostenibilità, che oggi sono state riviste, attualizzate e che verranno diffuse a breve.
La vera svolta però è avvenuta nel 2016 con la presidenza Boccia e la mia nomina a presidente non più della commissione cultura, ma del Gruppo Tecnico RSI, inserito all’interno della delega della politica industriale.
La responsabilità sociale e la sostenibilità non sono più temi marginali ma stanno entrando in tutte le agende politiche ed economiche, anche se con pesi e impatti diversi. Abbiamo lavorato sugli strumenti di supporto per le PMI che diventeranno patrimonio di Confindustria e la sensibilità all’interno del sistema associativo è cresciuta tantissimo: siamo chiamati sempre più spesso alle Assemblee, sia territoriali che di categoria, per raccontare quello che stiamo facendo e per ascoltare sempre più testimonianze e buone pratiche. Attraverso il Road Show del Manifesto, infatti, abbiamo potuto verificare sul campo con le imprese la vision che avevamo elaborato attraverso il Decalogo e il Manifesto per la Responsabilità Sociale d’Impresa per l’Industria 4.0. E abbiamo potuto toccare con mano l’accelerazione verso la sostenibilità delle nostre imprese.
Quali settori sono già pronti e quali, invece, in ritardo?
I settori che da più tempo sono impegnati nella sostenibilità sono il comparto del legno e quello della ceramica che, accanto alla sostenibilità ambientale, sono protagoniste di iniziative di welfare aziendale riconducibili alla responsabilità sociale di impresa, che spaziano dal benessere dei dipendenti fino ad iniziative a favore della comunità.
In Italia ci sono poi altri ambiti che hanno un impegno attento alla sostenibilità, specie ambientale: sono già molte le innovazioni nel campo della sostenibilità ambientale che vedono protagoniste le aziende chimiche che, tramite Federchimica, hanno aderito al Responsible Care, un programma mondiale di sviluppo industriale sostenibile, nato in Canada nel 1984 e che in Italia Federchimica ha avviato nel 1992, che ha profondamente cambiato il modo di concepire l’industria.
Altro settore dove l’attenzione alla sostenibilità è in forte crescita è il tessile, settore nel quale si sta assistendo ad una vera e propria esplosione di brand che hanno investito sulla sostenibilità, sia nell’ottica di tracciare la filiera e di investire in tecnologie, sia per creare nuovi prodotti che sono all’insegna del rispetto dell’ambiente, risparmio delle materie prime e delle risorse economiche e della razionalizzazione dei processi, ma anche per trovare soluzioni innovative nel rispetto della salute dei lavoratori e dei consumatori.
La sostenibilità ambientale e sociale è cresciuta anche nel settore alimentare che vede le aziende del settore impegnate nel controllo della filiera per dimostrare la qualità e la sicurezza dei propri prodotti e l’affidabilità dei fornitori. Molte aziende del settore siderurgico e metallurgico hanno investito in nuove tecnologie e nel rifacimento degli impianti produttivi al fine di risultati in termini di efficienza, tutela della salute lavoratori e minore impatto sui territori.
In questi anni si sta facendo strada anche il mondo del riciclo e del riuso soprattutto nell’ottica dell’economia circolare dove il trattamento di taluni materiali è sempre più perfezionato per avere performance più elevate di riutilizzo anche dei materiali di risulta della lavorazione. Ovviamente ci sono anche situazioni critiche e piccole aziende che hanno difficoltà ad investire e a cogliere le opportunità che la sostenibilità può offrire.
È in questo che Confindustria si sta impegnando in questi anni: dare agli imprenditori delle PMI degli strumenti pratici di politica industriale che permettano alle aziende di raggiungere i loro obiettivi in maniera sostenibile.
All’interno dell’Agenda 2030 dell’ONU, Confindustria ha scelto di focalizzarsi su 3 obiettivi in particolare. Quali?
Confindustria ha fatto propri 3 obiettivi nell’Agenda 2030: l’8, il 9 e il 10. L’obiettivo 8, crescita sostenibile quindi ricerca, una sempre maggiore efficienza, risparmi operativi, riduzione delle emissioni, zero rifiuti, riciclo integrale a ciclo chiuso e sempre maggiore attenzione al capitale umano e relazionale e alla convergenza degli interessi imprenditoriali dei territori.
L’obiettivo 9 perché è tempo di affrontare con decisione il tema della sostenibilità e della resilienza del territorio e del sistema infrastrutturale; è necessario investire di più e meglio in prevenzione, innovazione e manutenzione, per contenere il rischio di danni e i costi conseguenti.
E la tragedia di Genova ha posto con forza l’attenzione su questo tema. L’obiettivo 10 invece è stato specificamente scelto dal presidente Boccia, perché la disuguaglianza inibisce la crescita umana e imprenditoriale e va combattuta in tutti i settori.
Che cosa si può fare per le aziende in Italia?
È importante che le imprese abbiano strumenti per crescere e sappiano utilizzare le leve che la finanza può offrire. Per questo Confindustria, oltre che sul fronte della rendicontazione, è impegnata anche sulla divulgazione delle buone pratiche di sostenibilità e sull’informazione alle PMI.
Per aiutare le aziende italiane, soprattutto le PMI a comprendere l’importanza strategica della sostenibilità, sono necessarie strategie che viaggino su due binari, diversi ma convergenti: il primo è la promozione della cultura e della consapevolezza che non c’è alternativa al ripensamento del vecchio modello di business; il secondo è lo studio di piani di supporto alle PMI virtuose.
Qui sono importanti le strategie delle grandi imprese che in questi anni si stanno impegnando ad aiutare le piccole della loro catena di fornitura a porre in atto criteri e obiettivi di sostenibilità, ma è anche indispensabile che i governi mettano a disposizione degli incentivi alla sostenibilità, quali premialità nei bandi di gara, defiscalizzazione degli investimenti oppure pongano in essere operazioni simili a quanto fatto con l’Industria 4.0. È necessario che ci sia un riconoscimento in termini di reputazione anche per le aziende che pongono in essere le buone pratiche di sostenibilità in modo che questa trasparenza venga riconosciuta sul mercato, fra i consumatori e in generale dagli stakeholder di riferimento.
C’è da dire, però, che l’Italia – come noto – soffre di una drammatica carenza nel decidere e scegliere la centralità della ricerca, dell’educazione, della formazione, dell’innovazione e quindi nel fornire adeguati finanziamenti a questi settori. In questo modo, al di là delle eccellenze che fortunatamente ci sono, non si rischia di non cogliere le straordinarie opportunità che si stanno presentando?
Quando nel giugno 2017, ha aderito, insieme alle maggiori associazioni datoriali al Patto di Milano promosso da ASviS – in cui le organizzazioni firmatarie hanno indicato al decisore politico le azioni di contesto necessarie ad agevolare la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile – Confindustria ha fatto propri due punti del patto che sono considerati prioritari e sui quali intende lavorare, sviluppando progetti e attività: la riduzione degli impatti ambientali e l’education.
Confindustria intende proprio riportare la formazione al centro dell’agenda del Paese. Soltanto in questo modo sarà possibile sviluppare nella nostra società, nell’economia, nel lavoro quella intelligenza che, da sempre, è l’energia indispensabile per andare nel futuro. Bisogna ricostruire un legame strutturale tra le nostre scuole, i nostri ITS, le nostre università e il sistema produttivo. L’Italia è la seconda potenza manifatturiera in Europa ma tanti giovani non lo sanno, non considerano l’industria come un’opportunità per il loro futuro perché spesso non riescono ad intercettarla durante gli anni della loro formazione scolastica: il risultato è che abbiamo tante imprese che vogliono assumere giovani e dall’altro lato tanti giovani che vorrebbero essere assunti e non trovano lavoro e non li trovano perché hanno fatto scelte formative sbagliate.
All’estero, invece, questo collegamento tra istruzione e impresa è una assoluta priorità. Dobbiamo far sì che anche in Italia si raggiunga questo risultato a partire da una forte azione di sistema su temi come orientamento, alternanza scuola-lavoro, ITS, dottorati industriali.