Riclassamento illegittimo se manca la motivazione

Se il contribuente non è in grado di poter conoscere le concrete ragioni poste a base della pretesa impositiva, è impossibilitato anche a valutare l’opportunità o meno di procedere all’impugnazione dell’atto*

Con la recentissima sentenza del 17 febbraio 2015, n. 3165, la Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile-Tributaria – ha rigettato il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, confermando il principio secondo cui è illegittimo il riclassamento se manca la motivazione.

In particolare i giudici di legittimità hanno avuto modo di sottolineare come, secondo la giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 9626 del 2012; ord. 19814 del 2012; n. 21532 del 2013; n. 17335 del 2014; n. 16887 del 2014), «l’atto con cui l’Agenzia del Territorio attribuisce d’ufficio un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, deve chiaramente specificare a cosa sia dovuto il mutamento. Tale principio, fissato in considerazione delle incertezze proprie del sistema catastale italiano che non detta una specifica definizione normativa delle categorie e classi catastali, è stato affermato, proprio per consentire al contribuente di individuare agevolmente il presupposto dell’operata riclassificazione ed approntare le consequenziali difese, e per delimitare, in riferimento a dette ragioni, l’oggetto dell’eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all’Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate nell’atto».
Peraltro, laddove il nuovo classamento è stato adottato ai sensi del comma 335 dell’art. 1 della Legge n. 311 del 2004, nell’ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona in cui l’immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato e valore catastale in tale microzona rispetto all’analogo rapporto nell’insieme delle microzone comunali, non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento di riclassamento che faccia riferimento ai suddetti rapporti e al relativo scostamento, e ai provvedimenti amministrativi a fondamento del riclassamento, se da questi ultimi non sono evincibili gli elementi che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento.
Del pari, non può ritenersi sufficiente il riferimento a non meglio precisati «interventi pubblici per la riqualificazione della viabilità interna e dell’arredo urbano», nonché ad «interventi da parte dei privati per la ristrutturazione degli edifici».

Il contribuente, infatti, con tale espressioni non è in grado di poter conoscere le concrete ragioni poste a base della pretesa impositiva, con la conseguente impossibilità di valutare l’opportunità o meno di procedere all’impugnazione dell’atto, ovvero di contestare efficacemente sia l’an che il quantum debeatur.

Analoga vicenda è quella che sta interessando il Comune di Lecce, laddove le sentenze dei giudici di merito salentini su un contenzioso ancora in piedi innanzi alla CTR di Lecce, su circa 6.000 ricorsi presentati, hanno dato ragione ai contribuenti sulla illegittimità dell’aumento delle rendite catastali disposto dall’Agenzia del Territorio (ora confluita nelle Entrate) per il 95% del patrimonio immobiliare del territorio, dichiarando illegittimo il riclassamento catastale per difetto di motivazione. (tra le tante Ctp di Lecce – Sez. IV, sentenze 29 luglio 2013 n. 836, 5 luglio 2013 n. 607, 21 giugno 2013 n. 505 e ordinanza 19 aprile 2013 n. 114).

Anche in questo caso, l’Agenzia del Territorio, infatti, ha notificato alla maggioranza della popolazione gli avvisi di accertamento con i quali ha proceduto alla rideterminazione del classamento e alla conseguente attribuzione della nuova rendita catastale delle unità immobiliari, sulla base delle medesima motivazione, ovvero su presunti interventi di riqualificazione della viabilità interna e di arredo urbano nel centro storico.

 

*L’articolo è stato scritto a quattro mani, dagli avvocati Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli