Seppur timide, le indicazioni di un’inversione di svolta per il nostro Paese cominciano a fare capolino. Luca Paolazzi, direttore del CSC di Confindustria, però precisa: «Questo non vuol dire che la situazione sia tutta rose e fiori. Al contrario. Perché partiamo da livelli disastrosamente bassi (-9% il PIL rispetto al picco del 2007, -25% la produzione industriale) e perché la ripresa sarà frenata da una serie di venti contrari: stretta del credito, alta disoccupazione, elevata capacità produttiva inutilizzata, perdita di competitività accumulata in passato. Oltre a tutte le carenze strutturali del sistema Italia che rendono basso il nostro potenziale di crescita».
La ripresa pare – in Italia, Europa e a livello internazionale – meno sfumata. A sostenerlo sono sia i politici di casa nostra – nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, dal G20 di Mosca, ha dichiarato che «l processo di ripresa dell’economia italiana è in corso», sia i tecnici, tra cui proprio il Centro Studi di Confindustria secondo cui «l’economia italiana è arrivata “al punto di svolta”». Quali sono i segnali più incoraggianti?
Ce ne sono molti ed è proprio questa moltitudine che incoraggia a vedere, nella nebbia della crisi, i segnali di miglioramento. Dalla fiducia di imprese e consumatori ai giudizi sugli ordini esteri, dall’indicatore dei responsabile degli acquisti, tornato in agosto in zona espansiva per la prima volta dalla primavera 2011 all’anticipatore OCSE che preannuncia le svolte del ciclo.
Le vendite di autovetture hanno smesso di scendere in Italia e, anzi, hanno mostrato qualche timido recupero. Questo non vuol dire che sia tutto rose e fiori. Al contrario. Perché partiamo da livelli disastrosamente bassi (-9% il PIL rispetto al picco del 2007, -25% la produzione industriale) e perché la ripresa sarà frenata da una serie di venti contrari: stretta del credito, alta disoccupazione, elevata capacità produttiva inutilizzata, perdita di competitività accumulata in passato. Oltre a tutte le carenze strutturali del sistema Italia che rendono basso il nostro potenziale di crescita.
L’Ocse, tuttavia, qualche settimana fa proseguiva nel dire che il nostro Paese è ancora la pecora nera della crescita G7. È solo il solito balletto delle cifre?
In realtà quel che dice l’OCSE è quello che Confindustria sostiene da tempo, ossia che la performance dell’economia italiana è sistematicamente peggiore di quella degli altri maggiori paesi avanzati. Se siamo in una fase di espansione mondiale, l’Italia cresce meno degli altri. Se c’è una recessione, l’Italia arretra di più. Se c’è la ripresa, noi recuperiamo meno e più lentamente. Non c’è alcun balletto delle cifre.
Stando ai dati del CSC – diffusi lo scorso mercoledì 11 settembre – in ogni caso la ripresa sarà lenta e non solo a causa della precarietà politica interna. A destare preoccupazioni, in particolare, sarebbe l’esito delle imminenti elezioni tedesche…Quanto contano, e perché le influenze esterne, economiche ed extra-economiche?
Quando si è in una posizione di estrema fragilità, com’è quella economica italiana, ma anche quella dell’economia mondiale che fatica a uscire dalla crisi più grave degli ultimi ottant’anni, un aumento improvviso dei tassi a lungo termine (perché, per esempio, i mercati anticipano decisioni restrittive o meno espansive della FED americana), una guerra in Siria che si estenda al Medio Oriente e fa salire il prezzo del petrolio, un orientamento meno europeista del Parlamento tedesco (al momento in cui ragionavamo l’esito elettorale in Germania era ancora incerto, ndr) e la difficoltà di avere una solida e coesa maggioranza che sostenga il Governo Letta rendono le aspettative più incerte e quindi inibiscono le imprese e le famiglie a puntare con più coraggio sulla ripresa, rendendola quindi per ciò stesso più debole.
Per intercettare efficacemente la ripresa, per il presidente di Confindustria Squinzi occorrono “almeno 4-5 miliardi subito” da destinare alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Questa sarebbe la “prima” delle priorità. Poi? Cosa è necessario fare?
Confindustria ha presentato a febbraio il “Progetto per l’Italia: crescere si può, si deve” in cui sono elencate le misure di politica di bilancio e le riforme strutturali considerate prioritarie. Occorre partire dal manifatturiero e mettere in campo risorse imponenti, attraverso una terapia shock da oltre 300 miliardi in cinque anni, in modo da elevare il ritmo di crescita del Paese sopra il 2%. Non si tratta di scavare nuovi buchi nei conti pubblici, ma di ricomporre le voci di entrata (a favore di impresa e lavoro, a scapito di consumi e patrimonio) e di spesa (più investimenti e meno acquisti di beni e servizi, per esempio) del bilancio pubblico. Carlo Azeglio Ciampi la chiamerebbe una “manovra di qualità”. Che è la più difficile da fare, perché si toglie a qualcuno per premiare qualcun altro.