Che fine ha fatto lo Spazio Euromediterraneo, quella grande policy comunitaria che nel 1995 ave va deciso di creare un’area di prosperità condivisa fra Unione Europea e Partners sudmediterranei?
É una Europa schizofrenica quella che osserva il Mediterraneo. Da un lato infatti guarda con timore all’area organizzando strumenti e operazioni per contrastare i flussi di immigrazione e, dall’altro, ha invece in un cassetto intelligenti politiche e strumenti elaborati vent’anni fa in risposta alle dinamiche socioeconomiche che già allora agitavano il Sud Mediterraneo. Il 2015 infatti non è solo l’anno dell’Expo ma anche quello del ventennale della Conferenza di Barcellona che nel 1995 aveva lanciato una grande policy comunitaria costruita a “ruota di bicicletta”: l’Unione Europea ne era il centro e, una volta firmati gli Accordi di Associazione con i Paesi della Sponda sud che l’avevano sottoscritta (i “raggi”), questo avrebbe portato alla creazione di un’area di prosperità condivisa che si sarebbe aperta nel 2010.
Il Partenariato Euromediterraneo – così veniva definito questo sistema di relazioni fondato su tre pilastri (economico, sociale e culturale) – fu giustamente salutato come una storica svolta nelle relazioni fra Unione Europea e Partners sudmediterranei. Attraverso una architettura comunitaria per l’epoca ardita e di grande visione, l’Unione Europea individuava infatti una risposta possibile a divario economico e crescita demografica, due problemi di fondo della Sponda Sudmediterranea, che venivano di fatto affrontati alla radice puntando allo sviluppo economico e sociale in loco e, quindi, alla diminuzione della pressione migratoria verso l’Europa.
Allo stesso tempo, inoltre, la politica euromediterranea attraeva i paesi sudmediterranei verso l’Europa, evitando spinte centrifughe verso altre macroregioni economiche che si sono poi evidenziate (Brics, Golfo, USA) e mettendo a fattor comune manodopera e risorse di petrolio e gas sudmediterranee da un lato e knowhow e maturità dei sistemi industriali europei dall’altro, così da offrire una exit strategy alla combinazione di disoccupazione e demografia che è poi divenuta il detonatore della grande crisi di crescita e dei cambiamenti sociali mediterranei, tuttora in corso. Lo Spazio euromediterraneo, infatti, offriva e offre tuttora ai paesi rivieraschi firmatari della Dichiarazione di Barcellona la grande opportunità di un rapporto one-on-one con l’UE, per creare una relazione privilegiata fondata sulla pari dignità e sulla corresponsabilità della stabilità politica e dello sviluppo economico e sociale della macroregione mediterranea, coinvolgendo, seppure in un momento successivo, anche la Libia, che aveva uno status di osservatore, non essendo firmatario della Dichiarazione di Barcellona. La vera rivoluzione mediterranea era dunque già tutta nel DNA di un’Europa che portava avanti l’idea che, come diceva Jean Monnet, uno dei Padri fondatori comunitari, le spiegazioni fossero economiche ma gli obiettivi fossero politici. La Zona di Libero scambio si è aperta nel 2008 con la Tunisia, primo Paese ad aver firmato l’Accordo di Associazione con la UE, circostanza che ne avvalora maggiormente il ruolo di laboratorio mediterraneo e di Paese di riferimento per la comprensione delle dinamiche sudmediterranee. Certo, è poco rispetto ai grandi traguardi che l’Euromediterraneo avrebbe potuto conseguire se nel 2010 si fosse effettivamente aperta una Zona di prosperità condivisa attraverso la forte incentivazione di massicci investimenti privati e pubblici europei nei Paesi della Sponda sud del Mediterraneo. Ma gli incentivi e gli investimenti sono stati ben poca cosa in questi venti anni. A margine dei Vertici dei Ministri che hanno seguito l’attuazione della Conferenza di Barcellona è nato peraltro anche uno storico processo di aggregazione delle organizzazioni imprenditoriali della Sponda sud, che ha portato alla nascita di Businessmed, l’Organizzazione imprenditoriale delle “Confindustrie” sudmediterranee. E fu una piccola rivoluzione anche quella che portò la Confindustria italiana, tutor del programma comunitario che aveva portato alla nascita stessa di Businessmed, a diventarne il primo Membro (Osservatore) nordmediterraneo. Se questo è dunque lo stato dell’arte di preziosi meccanismi comunitari, in casa imprenditoriale il 2015 si è aperto con un fatto nuovo: a gennaio il Presidente della Piccola Industria di Confindustria Alberto Baban è stato eletto Vice Presidente di Businessmed, affiancando quindi, insieme all’Algeria, il nuovo Presidente Jacques Sarraf-Libano, uno dei più importanti imprenditori dell’area del Mediterraneo orientale. Una novità assoluta ed un rilevante salto di qualità nelle relazioni imprenditoriali euromediterranee, che riporta l’Italia davvero al centro dell’area e riassorbe le spinte talvolta extramediterranee delle precedenti Presidenze di Businessmed.
Certo, la situazione socio-politica ed economica nel Mediterraneo è molto diversa e assai più complessa rispetto al 1995. Ma è cresciuta anche la consapevolezza dei Governi dell’area che il modello della piccola industria può e deve essere la risposta ai problemi della disoccupazione del Nord Africa, dove molto si è investito su formazione e istruzione e dove si spinge su incentivi agli investimenti e piani di industrializzazione.
Probabilmente però saranno turchi, cinesi, coreani, brasiliani e altri ancora ad usufruirne, se la narrativa italiana sul Mediterraneo continuerà ad essere principalmente quella del contrasto ai flussi migratori. Ci vorrebbe più economia integrata mediterranea e meno euro-burocrazia. Ma questa è un’altra storia.