Per il presidente del Gruppo Alimentare di Confindustria Salerno, l’idea vincente resta quella di presentarsi compatti, valorizzando sia le aggregazioni che si è in grado di mettere in campo, ma anche – se non soprattutto – il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, attraverso proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa
Presidente, la concorrenza sui mercati è ogni giorno più robusta e agguerrita. Per vincere la sfida dell’export qual è la strada giusta da seguire, specie per le imprese del settore agroindustria così forte al Sud?
Innanzitutto, è indispensabile mettersi in movimento. É il momento, cioè, di avere uno scatto di “fantasia” a partire, però, dagli strumenti disponibili. É ovviamente chiaro che presentarsi insieme, uniti, sui mercati internazionali attivi maggiori potenzialità commerciali. Le aziende che hanno deciso di fare rete – in alcuni casi sperimentando la formula che supera la frontiera dell’appartenenza a segmenti produttivi omogenei – sono le uniche che oggi possono guardare al futuro con fondato ottimismo.
L’idea vincente resta quella di presentarsi compatti, valorizzando sia le aggregazioni che si è in grado di mettere in campo, ma anche – se non soprattutto – il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, attraverso proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa.
Nelle regioni meridionali è indispensabile, però, scavalcare le gelosie e i ritardi storici che continuano, purtroppo, a registrarsi nella costruzione delle filiere più tradizionali, che, pure, esprimono il valore aggiunto di tipicità settoriali uniche al mondo. Basti pensare al pomodoro, alla mozzarella, al caffè, all’olio, alla pasta, solo per fare qualche esempio lampante. Se si riuscisse a lavorare per la realizzazione di “marchi del territorio”, si potrebbe consentire anche agli altri – quelli che non si ritrovano direttamente in queste filiere così concorrenziali all’estero (ma che esprimono, comunque, alta qualità) – di arrivare dove da soli non arriverebbero mai.
La rete, quindi, specie quella di tipo settoriale, è lo strumento per meglio affrontare l’internazionalizzazione?
I contratti di rete settoriali sono una realtà e iniziano ad essere presi in considerazione con discreta visione anche al Sud e in Campania. Ma non sono stati avviati – se non in minima parte e per iniziativa di grandi aziende – esperimenti incentrati sulla qualità “diffusa” al di là degli specifici segmenti nei quali le imprese operano.
Manca ancora – come si diceva prima – quello scatto di “fantasia” e di “rischio” imprenditoriale che può trasformare una criticità importante (la dimensionalità eccessivamente fragile e la scarsità di risorse finanziarie tipica del capitale asfittico delle piccole imprese) in un’opportunità a largo raggio.
L’eccellenza del fare può diventare, quindi, il riferimento centrale di nuovi programmi di internazionalizzazione – ma anche (e non secondariamente) di espansione sul mercato interno – che devono mirare alla creazione di “distretti intersettoriali di qualità” che potrebbero avere la loro “certificazione” nell’area geografica che li esprime.