Sezione lavoro: una sentenza che fa scuola

massimo ambronIl 21 gennaio 2015 il Tribunale di Napoli ha dichiarato la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra tre docenti “precarie” e il Ministero, condannando così il MIUR alle retribuzioni contrattualmente dovute per periodi di interruzione durante i contratti a termine e alla ricostruzione della carriera, oltre alle spese legali

 

Ho da alcuni anni la opportunità e il privilegio di potere scrivere su questa rivista brevi articoli in materia di lavoro, con l’obiettivo di dare un contributo informativo commentando principalmente sentenze della Suprema Corte di Cassazione, organo di riferimento per il giurista, insieme alla Corte Costituzionale.
Il presente articolo, invece, che per la necessità di sintesi sicuramente non rende giustizia alla complessa vicenda, è dedicato a tre sentenze emesse in questi giorni dal Tribunale di Napoli di eccezionale rilievo per la delicatezza dell’argomento, l’excursus dei procedimenti, la completezza delle argomentazioni e la ricostruzione puntuale e impeccabile di tutta la dinamica da parte del magistrato estensore, ma soprattutto per le sue ricadute nell’ambito della nostra società non solo nel precariato scolastico, ma nel pubblico in generale.

Si trovano nelle medesime condizioni delle ricorrenti, e quindi sono potenzialmente coinvolti, oltre 150mila docenti precari che rappresentano più del 21% dell’organico ordinario, come rilevato nella relazione della Corte dei Conti del 2 maggio 2012 sul lavoro pubblico.

Ma veniamo al “fatto”. Le ricorrenti convenivano in giudizio il MIUR (Ministero della Istruzione Università e Ricerca) rimasto contumace, esponendo di essere state assunte con plurimi contratti a termine come docenti; di avere complessivamente lavorato per oltre 36 mesi nell’ambito di un periodo di 5 anni; di avere diritto alla conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato per abusiva reiterazione dei contratti a termine, in applicazione dell’art. 5, comma 4-bis, commi 3 e 4 del disegno legislativo n. 368/01, art.9 comma 18 D.L. 70/1, oltre all’art. 40 del CCNL Comparto Scuola che prevede al comma 4 la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per effetto di specifiche disposizioni normative.
In subordine, esse richiedevano pure il diritto al risarcimento del danno oltre che il riconoscimento dell’anzianità di servizio e gli scatti stipendiali per il periodo di precariato.

Le cause venivano poi interrotte in quanto lo stesso Tribunale di Napoli, con le ordinanze del 15 gennaio 2013, sollevava alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una questione interpretativa pregiudiziale in ordine alla direttiva 1999/1970/CE (cause riunite C-22/13, C61/13,62/13), la quale prevede l’obbligo da parte degli Stati membri, e quindi anche dell’Italia, di creare un quadro normativo atto ad impedire l’abusiva reiterazione dei contratti a termine.

La Corte di Giustizia, in data 26 novembre 2014, si pronunciava con sentenza ricordando che gli Stati membri devono prevedere almeno una delle seguenti misure: indicazioni delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti, ovvero la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi, oltre a prevedere una misura sanzionatoria proporzionata, effettiva e dissuasiva all’utilizzo abusivo. La Corte giungeva alla conclusione che la normativa italiana non prevedeva alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Pertanto, il processo veniva riassunto e si costituiva anche il MIUR davanti al medesimo Giudice del Tribunale di Napoli, il quale dopo la discussione, acquisita la sentenza della Corte di Giustizia, decideva la causa con sentenza del 21 gennaio 2015, dichiarando la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le ricorrenti ed il Ministero, condannando così il medesimo alle retribuzioni contrattualmente dovute per periodi di interruzione durante i contratti a termine e alla ricostruzione della carriera, oltre alle spese legali che seguono la soccombenza.

Con le tre sentenze in esame il Tribunale di Napoli ha riconosciuto il diritto alla conversione del rapporto a tempo indeterminato, ma ha escluso il risarcimento del danno perché i contratti non sono illeciti ma conclusi in osservanza di leggi esistenti.

Tale soluzione legittima – al contrario del risarcimento che consisterebbe in un esborso da parte delle casse erariali enorme- avvantaggerebbe lo Stato Italiano come affermato dalla stessa Avvocatura dello Stato costituitasi in sede di riassunzione che ha sostenuto che la unica forma di risarcimento specifico che i docenti precari possono chiedere è la immissione in ruolo a mezzo della applicazione dell’art.5 comma 4 bis d.lgs. 368/2001. D’altra parte la esigenza oggettiva di sistemazione organica del settore scolastico è talmente sentita che il Governo stesso ha nel suo piano di stabilizzazione previsto la immissione in ruolo di docenti che finalmente coprano le carenze organiche del settore, evitando così anche le pesanti sanzioni da parte della Unione Europea.