Siamo tutti debitori a Bruce Lee. Al maestro che ha sdoganato il Kung Fu e lo ha reso una straordinaria narrazione creativa, sociale e di consumo di massa. Dagli anni Settanta in poi la disciplina del “duro lavoro” (nel suo significato più arcaico) è diventata un must e soprattutto grazie al cinema (e poi alla serialità televisiva) un sistema di consumo ultragenerazionale di grande fascino e solidità nel tempo.
Non si assenta da questo omaggiare la disciplina cinese (nel trionfo di stili e scuole) il mondo del game. Tra questi: il novello Sifu (un videogioco d’avventura beat ’em up sviluppato e distribuito dalla casa videoludica Slocap, uscito su PC, PlayStation 4 e Playstation 5 l’8 febbraio 2022).
La trama riprende alcune tematiche presenti in molte pellicole di arti marziali cinesi, appartenenti al genere gongfupian: l’allievo, nonché villain, nel prologo si rivolta contro il proprio maestro e la conseguente ricerca di vendetta da parte del protagonista, il cui sesso sarà selezionabile, anch’esso allievo, nonché figlio, del sifu assassinato. La scelta del genere non comporterà alcun tipo di differenza nella giocabilità del videogioco, sposando la filosofia delle arti marziali, praticabili da chiunque, senza differenza tra uomo e donna. Infatti, “il Kung Fu non dipende dal sesso o dall’età, ma da come si combatte” (dal film Ip Man, 2008). Proprio il fattore età è ciò che contraddistingue il gameplay di Sifu: se durante i combattimenti si giunge alla morte, non ci sarà Game Over, ma si potrà “rinascere” con un anno in più. Quindi maggiore sarà il numero di morti, segnate da un contatore, maggiore sarà l’età raggiunta dal/dalla protagonista che vedremo invecchiare fisicamente portando ad un aumento dei danni inflitti ai nemici, a discapito della minor salute.
Da allievo/a di appena 20 anni, età dalla quale si parte, si può arrivare ad un’età avanzata di 70, oltre cui vi è il Game Over definitivo.
Il senso è quello di raggiungere la maestria del Kung Fu attraverso una dura e costante pratica, infatti, è possibile acquisire in modo definito delle nuove tecniche di combattimento attraverso dei punti esperienza solamente dopo averle sbloccate per cinque volte: per padroneggiare una tecnica marziale ci vuole tempo e costanza.
Lo stile di kung fu del/della protagonista – che non ha nome – è ispirato a Pak Mei, un monaco taoista e maestro di arti marziali cinese ideatore dello stile Baimeiquan, figura molto presente nei film di arti marziali cinesi anche recenti, come in Kill Bill: Volume 2, sebbene questo non sia l’unico collegamento con i film di Quentin Tarantino.
Il terzo livello di Sifu, infatti, ha inizio IN un museo di arte contemporanea per concludersi in una foresta innevata nella quale va affrontato un boss, Lady Kuroki.
L’estetica della donna e dell’ambientazione sono un forte richiamo alla scena del combattimento tra O-Ren e Beatrix Kiddo nel giardino d’inverno di Kill Bill: Volume 1. Il cambio procedurale dell’ambientazione avviene in tutti e cinque i livelli che compongono Sifu.
Ognuno di questi, infatti, ha inizio in uno scenario moderno che, avanzando, cambia e si trasforma in luogo legato alla cultura cinese: una serra in un sobborgo metropolitano si tramuta in una foresta di bambù, oppure i neon accesi di un club diventano le fiamme di un antico villaggio cinese. Una scelta di level design e direzione artistica che rimarca il concetto di Yin e Yang: moderno/antico, urbano/natura.
Se si aggiunge a tutto questo che ogni livello rappresenta uno dei 5 elementi naturali, fondamentali nella filosofia cinese, e che vi è l’opportunità di risparmiare i vari boss, perseguendo quindi una via diversa da quella della vendetta, il risultato è un vero e proprio videogioco di Kung Fu che a sua volta trova nel medium videoludico la giusta via per esprimere tutta la filosofia marziale che contiene.