«Bisogna agevolare il passaggio a un’economia a basso contenuto di carbonio il prima possibile, altrimenti le perdite generate dalla crisi climatica saranno molto più elevate dei costi a sostegno dell’azione»
Professore, il verbo promosso con coralità in questi anni da ASviS – Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile – finalmente sembra diventato l’unico piano B per cambiare il volto all’economia mondiale. Può la sostenibilità essere la chiave di volta per uscire dalla stagnazione politica ed economica anche per il nostro Paese?
Più che il piano B, la sostenibilità rappresenta il piano A, quello da mettere in pratica, e l’Agenda 2030 traccia le linee guida da seguire per rendere il Pianeta un posto più sicuro, equo e inclusivo, con meno disuguaglianze e più benessere condiviso. In un Paese che ha sempre fatto fatica a trovare una visione di lungo periodo, l’Agenda 2030 e i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile sono dunque la strategia da seguire per uscire dalla crisi sistemica che stiamo attraversando ormai da molto tempo. Una soluzione ai problemi sociali, economici e ambientali. È senz’altro un’opportunità da cogliere.
Ma di cosa è fatta la sostenibilità? Di compatibilità ambientale e di? Quanto pesa il rispetto dei diritti umani?
Il 25 settembre del 2015, 192 Paesi più l’Italia oltre a mettere un serio freno al riscaldamento globale e alla perdita di biodiversità si sono impegnati nel ridurre la forbice delle disuguaglianze, ad agire sulla povertà, a garantire parità di genere, a tutelare la salute e il benessere di tutti. Tanti obiettivi che non possono essere raggiunti senza incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, assicurando al contempo un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso alle persone. Con l’Agenda 2030 la sostenibilità è finalmente uscita dal filone ambientale nel quale era stata relegata, con i diritti umani a rappresentare proprio il cuore del documento. Quando parliamo di sostenibilità parliamo di giustizia intergenerazionale e intragenerazionale. L’intento è di costruire un mondo in cui nessuno viene lasciato indietro, un sistema in grado di tutelare i diritti dell’intera umanità.
Tanti sono stati i flop nel tempo in tema di sostenibilità: Copenaghen, Kyoto, Messico e altri appuntamenti e propositi falliti. Quanto tempo ha perso la politica mondiale e perché? Oggi come può recuperare quella italiana per incoraggiare con serietà e metodo lo sviluppo di un’economia sostenibile, tenuto conto che manca solo un decennio alla scadenza dell’Agenda 2030?
È vero, abbiamo solo 10 anni di tempo per realizzare l’Agenda, e va ricordato che ventidue dei centosessantanove target che la compongono hanno scadenza al 2020, purtroppo già sappiamo che la maggior parte di essi non saranno raggiunti. Nei summit degli ultimi anni, in particolare quelli sul cambiamento climatico a cui fa riferimento, diversi sono stati i fallimenti sul piano negoziale. C’è però qualche nota positiva, per esempio il protocollo di Kyoto rimane importante per l’Europa, dato che ha contribuito a renderla il posto più sostenibile al mondo. Per recuperare gli anni persi, l’Italia e il mondo intero dovrebbero dare importanza agli avvertimenti della scienza sui cambiamenti climatici. Le tecnologie per decarbonizzare le nostre economie ci sono, e diventano sempre più competitive, bisogna agevolare il passaggio a un’economia a basso contenuto di carbonio il prima possibile, altrimenti le perdite generate dalla crisi climatica saranno molto più elevate dei costi a sostegno dell’azione. Passare a un’economia sostenibile è l’unico modo che abbiamo per rendere il nostro Paese un posto migliore.
Quali riforme propone l’ASviS?
In questi anni l’ASviS ha avanzato diverse proposte, sia per ciò che concerne le azioni “trasversali” che per l’assetto della governance a sostegno dello sviluppo sostenibile. Tra queste, troviamo la trasformazione del CIPE in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile, così da orientare le scelte sugli investimenti pubblici al perseguimento degli SDGs (l’acronimo inglese che fa riferimento agli Obiettivi di sviluppo sostenibile). Altra proposta è l’inserimento in Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile, unita alla predisposizione di una legge annuale sullo sviluppo sostenibile, cioè un veicolo normativo destinato a introdurre modifiche di carattere puramente ordinamentale ma che, grazie alla sua visione sistemica, può aiutare il conseguimento dell’Agenda 2030.
Ritiene che la transizione verso gli obiettivi di Agenda 2030 debba essere incrementale o su alcuni piani è possibile spingere di più per un’autentica rivoluzione?
Chiaramente in alcuni settori, come quello energetico, il passaggio deve essere graduale per garantire una “giusta transizione”, cioè che non vengano messi in discussione i diritti dei lavoratori. In generale, l’Agenda 2030 è essa stessa un documento rivoluzionario. L’universalità, la necessità della partecipazione di tutti per essere attuata e la visione integrata dei temi fanno del documento Onu uno strumento innovativo di portata epocale.
C’è da dire, però, che l’Italia – come noto – soffre di una drammatica carenza nel decidere e scegliere la centralità della ricerca, dell’educazione, della formazione, dell’innovazione e quindi nel fornire adeguati finanziamenti a questi settori. In questo modo, al di là delle eccellenze che fortunatamente ci sono, non si rischia di non cogliere le straordinarie opportunità che si stanno presentando?
L’Italia vive una condizione di non sostenibilità per via di una governance poco incline alle politiche di sviluppo sostenibile. Siamo uno dei Paesi europei che investe meno in istruzione in rapporto al Pil, sebbene l’educazione sia la chiave per il progresso socio-economico e la riduzione della povertà a livello locale e globale. Le do un dato: nell’ultimo anno il tasso di abbandono scolastico dei ragazzi e delle ragazze italiane peggiora, raggiungendo il 14%, come riportato nel Rapporto 2019 dell’ASviS. Bisogna invece garantire il proseguimento scolastico ai nostri studenti, e costruire Università pronte a formarli sui temi del futuro, come l’innovazione digitale. Solo così limiteremo il fenomeno dei “cervelli in fuga”, riuscendo a creare un collegamento anche con il mondo del lavoro, che spesso in Italia vive una crisi legata a domanda e offerta, con le aziende che non trovano le competenze adatte alla propria attività, e i ragazzi costretti ad andare via per seguire le proprie passioni.
L’economia circolare è l’unica economia possibile? Con quali vantaggi per le imprese e per i cittadini?
Sull’aspetto economico e finanziario delle aziende, l’ultimo rapporto dell’Istat è chiaro: le imprese che hanno investito in sostenibilità negli ultimi anni hanno beneficiato di un aumento di produttività, a parità di condizioni, rispetto ai competitor.
Parliamo di una quota pari al 15% per le aziende di grandi dimensioni, pari a circa il 10% per quelle con più di 95 dipendenti, e pari al 5% per quelle con più di 75 dipendenti. Servono dunque nuovi modelli di produzione e consumo, capaci anche di tutelare il benessere collettivo, come previsto dal Goal 12 dell’Agenda 2030.
Proprio in questa ottica l’ASviS sulla scia dei “Fridays for Future” ha lanciato i “Saturdays for Future”. L’idea è quella di far diventare il sabato, giorno in cui la maggioranza delle persone fa la spesa, il momento dell’impegno per cambiare i modelli produttivi e le abitudini di consumo a favore di uno sviluppo sostenibile. La prima tappa del 28 settembre è stata un successo, con decine di eventi sul territorio nazionale, ma è solo l’inizio di un percorso che renderà il cittadino più informato e consapevole delle proprie scelte, magari riuscendo a innescare un processo virtuoso che porti a cambiare gli attuali modelli di produzione per renderli sempre più sostenibili dal punto di vista non solo economico, ma anche sociale e ambientale.