Sembra che per l’AGE l’assimilazione alle azioni debba essere totale ed effettiva ad un punto tale che gli SFP assumono la natura di vero e proprio capitale sociale.
Questa conclusione fa sorgere però più di un’incertezza in merito al trattamento tributario e contabile di un SFP che assimilabile non è
Dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario del 2001, è possibile avere diritti patrimoniali e amministrativi in società per azioni tramite i cosiddetti “strumenti finanziari partecipativi” (di seguito anche SFP).
Tali strumenti di equity, solitamente privi di diritti di voto, sono disciplinati dall’art. 2346, ultimo comma, c.c., e nella prima fase della loro introduzione non hanno avuto grande utilizzo da parte degli operatori.
Solo di recente, forse anche a causa delle crisi finanziarie che si sono succedute soprattutto dopo il famoso crac Lehman Brothers, essi hanno trovato una via via crescente notorietà, fino a diventare oggi, non solo uno strumento tecnico-giuridico per agevolare la risoluzione di crisi d’impresa ma anche una valida alternativa al capitale sociale per la raccolta di equity da investitori professionali e non.
Questo vero e proprio boom nelle emissioni di SFP deriva sostanzialmente dalla relativa semplicità nella loro adozione e, di converso, da una estesa e variegata possibilità di utilizzo.
La prassi professionale ne ha infatti concepiti di ogni tipo, per ogni fattispecie, quasi in ottica sartoriale, e ciò rappresenta senz’altro un trionfo dell’autonomia contrattuale, rispetto alle rigide regole dell’apporto diretto di capitale sociale, previste dalla normativa societaria, ma può porre anche incertezze sulla esatta qualificazione dello strumento, come meglio in seguito esposto.
Ad oggi, abbiamo SFP non solo connessi a procedure concorsuali o pre-concorsuali, ma anche asserviti ad operazioni di M&A o a supporto di piani di partecipazione agli utili di manager e così via, sino a quelli per lo sviluppo di startup.
Sono soluzioni efficaci in quanto essi consentono di raccogliere capitale di rischio, senza necessariamente impelagarsi in complicate trattative sul capitale sociale, superando al contempo la naturale ritrosia anche psicologica degli imprenditori, di vedersi diluiti nelle loro partecipazioni.
Gli SFP, in linea generale, possono essere assimilati alle azioni e quindi, secondo anche autorevole Dottrina, possono attribuire, anche in via preferenziale rispetto agli altri azionisti, diritti agli utili, alla distribuzione di riserve, alla restituzione dell’apporto effettuato in sede di liquidazione della società.
In aggiunta, la prassi professionale ha disegnato per i possessori di SFP anche il diritto alla conversione in azioni e il diritto di recesso, nonché quello di riscatto e naturalmente di annullamento da parte dell’emittente e ancora il diritto di rivendita a terzi, sia per il primo possessore sia per la stessa società, che l’abbia previamente acquistato.
Invece, non pare prefigurabile per la posizione di possessore di SFP, la richiesta di rimborso, in quanto incompatibile con la natura di strumento similare alle azioni.
Sotto il profilo del quantum, invece, le varianti sono ancor di più: maturazione dei diritti condizionato ad eventi o al raggiungimento di determinati risultati, diritto ad ottenere un rendimento minimo (Floor) o massimo (Cap) su base annua o complessiva (con diritto di accrescimento) e così via.
Ruolo centrale nella definizione del contenuto e delle remunerazioni è assunto naturalmente dal regolamento di emissione, che, insieme alle connesse norme statutarie di supporto, deve disciplinare ogni singolo SFP che si intende mettere in circolazione.
L’autonomia contrattuale nell’elaborazione del regolamento, come si è già detto, è molto ampia, tuttavia, con tutta questa libertà negoziale il rischio è che si generino strumenti ibridi (equity – debt), con ricadute negative importanti sotto l’aspetto tributario e contabile sull’intera operazione.
Infatti, l’equiparazione degli SFP alle tradizionali azioni sotto il profilo tributario, non è per niente scontata, né automatica.
A tal proposito, solo di recente, l’Agenzia delle Entrate si è occupata della tematica con maggiore intensità, principalmente in relazione alle disposizioni di cui all’art.113 TUIR.
Esse sostanzialmente prevedono che nel caso di sottoscrizione di SFP nell’ambito di procedure di recupero di crediti da parte di intermediari finanziari – previo interpello – tali istituti possano continuare a trattare fiscalmente la partecipazione come se fosse ancora un credito e quindi escludere l’applicabilità della normativa PEX. Ciò significa che eventuali perdite dal recupero degli SFP potranno ritenersi deducibili dal reddito.
Con le Risposte n. 865-866-867-881 del 2021, l’AGE ha chiarito che l’assimilazione degli SFP alle azioni (e con essa la deroga alla norma PEX) sussiste solo ed esclusivamente, qualora il regolamento abbia rispettato rigorosamente le disposizioni dell’art.44 TUIR e quindi la perfetta equivalenza tra i due strumenti (azioni – SFP), sotto il profilo dei diritti patrimoniali.
E questa equivalenza non c’è, a parere dell’Agenzia, quando per gli SFP, ad esempio: (i) viene fissato un ammontare minimo o massimo di remunerazione; (ii) viene stabilito il diritto di distribuire anche riserve di capitale e non di soli utili; (iii) quando la remunerazione è sganciata dalla distribuzione di dividendi ma è parametrata a risultati economici o ad altri drivers anche finanziari; (iv) quando vengono introdotte clausole di accelerazione di pagamento e così via.
Per altro verso, viene confermato che la compravendita di SFP, ove ricorrano le condizioni di cui all’art.87 TUIR, può beneficiare dell’esenzione PEX e nel caso di conversione di SFP in azioni vere e proprie, a carico di chi converte viene a generarsi reddito imponibile per l’ammontare pari al differenziale tra valore di mercato delle azioni ricevute e prezzo di sottoscrizione dello strumento (Risposta 705/2021).
Sembra quindi che per l’AGE l’assimilazione alle azioni debba essere, in aderenza letterale all’art.44 TUIR, totale ed effettiva ad un punto tale che gli SFP assumono la natura di vero e proprio capitale sociale.
Questa conclusione, ove confermata, se fa chiarezza su cosa intende il Fisco per SFP assimilato alle azioni, fa sorgere però più di un’incertezza in merito al trattamento tributario e contabile (e per certi versi anche societario) di un SFP che assimilabile non è.
Giova ricordare che su questo punto, è anche intervenuta la risposta n.291 del 31.8.2020 che, in linea generale, in ambito IAS 32 ha stabilito che, qualora un SFP sia contabilizzato a equity ma, ai fini fiscali, sia qualificato come similare alle obbligazioni ex art 44 co. 2 del TUIR, la remunerazione è deducibile come interesse passivo nei limiti stabiliti del famoso ROL, anche se non è imputata a Conto economico ma a riduzione del patrimonio netto.
La risposta è chiara ma, purtroppo, riferita ad un caso dove la qualificazione fiscale era abbastanza semplice. Speriamo di avere ulteriori pareri più generalizzabili quanto prima.