Al fine di avvalersi della possibilità di utilizzare le procedure di affidamento disciplinate dal codice del terzo settore e di sottrarsi all’applicazione delle norme europee è essenziale definire il concetto di gratuità
Il variegato modo del volontariato in Italia ha assunto spesso dei connotati di attività imprenditoriale e, peggio, dietro certe strutture di comodo, si nascondono talvolta vere e proprie imprese. Si tratta di cooperative, associazioni, comunità che, nella stragrande maggioranza dei casi, va detto, sono oggettivamente un beneficio per la collettività.
Le esigenze manifestatesi si sono risolte con un susseguirsi di norme e interpretazioni in giurisprudenza, che hanno posto i dovuti correttivi.
Alcuni dei servizi svolti da volontari – si pensi al soccorso, al personale non medico delle autoambulanze, al servizio per i disabili, alle mense, alle case-famiglia, alle comunità per tossicodipendenti, e altro – specie nell’amministrazione sanitaria, assumono una valenza in termini economici di grande importanza.
E altresì noto che è stato introdotto di recente il c.d. Codice del Terzo Settore con il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117.
Sul punto vi è stato anche l’intervento decisivo della Corte Costituzionale che ha evidenziato come l’art. 55 del Codice del Terzo Settore, disciplinando i rapporti tra Enti del Terzo Settore e pubbliche amministrazioni, rappresenti una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, che ha esplicitato nel testo costituzionale «le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della “profonda socialità” che connota la persona umana… », ancor di più confermando il favor del sistema verso il settore. Pur non volendo avere alcuna pretesa di completezza, si intende svolgere qui qualche veloce considerazione utile ai lettori.
Nei rapporti con la P.A. il riferimento più solido è tuttora il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, 26 luglio 2018 sui rapporti tra le direttive U.E. del 2014 in materia di appalti pubblici, il Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 e il d.lgs. n. 117 del 2017 (Codice del Terzo Settore) nella parte in cui disciplina l’affidamento di “servizi sociali” a soggetti o enti di questo tipo.
La regola generale è sempre l’applicazione della disciplina degli appalti nell’affidamento dei servizi sociali, disciplinato dal legislatore nazionale. Si deve rispettare la normativa concorrenziale, in quanto rappresenta una modalità di affidamento di un servizio che rientra nel perimetro del sistema degli appalti di origine comunitaria. Si è sottolineato però, come in determinate ipotesi, la procedura di affidamento di servizi sociali disciplinata dal diritto interno non è soggetta alla regolazione di origine euro-unitaria. Ciò accade quando la procedura tende all’affidamento a un ente di diritto privato di un servizio sociale che, tuttavia, lo stesso ente svolge a titolo integralmente gratuito.
Pertanto, è essenziale definire il concetto di gratuità, al fine di avvalersi della possibilità di utilizzare le procedure di affidamento disciplinate dal codice del terzo settore e di sottrarsi, quindi, all’applicazione delle norme ordinarie sugli appalti pubblici. In tale prospettiva, il concetto di gratuità si identifica, secondo la più recente giurisprudenza (Consiglio di Stato V sez. 6232 del 7.9.2021), nel conseguimento di un aumento patrimoniale da parte della collettività, cui corrisponde una sola mera diminuzione patrimoniale di altro soggetto, ossia il prestatore del servizio.
La gratuità è dunque la non economicità del servizio poiché gestito, necessariamente, in perdita per il prestatore. Ammesso pertanto unicamente il rimborso delle spese. Si tratta di considerazioni che sembrano scontate, ma che hanno un forte effetto pratico.
Ogni volta che il servizio non è gratuito nei termini detti, il regime concorrenziale e le regole degli appalti tornano ad applicarsi, limitando di molto le possibili distorsioni al mercato.