Vediamo di capire cos’è e come funziona questa, ancora misteriosa, moneta virtuale
Si sente ovunque parlare di bitcoin ormai, la moneta virtuale che molti dicono ti faccia diventare ricco in un “bit”. In realtà, si tratta di una moneta misteriosa ai più.
E allora cerchiamo di capire cos’è e come funziona.
Prima caratteristica: il bitcoin non ha natura fisica, ma digitale, perché è creato, memorizzato e utilizzato su dispositivi informatici-pensiamo a smartphone, tablet-e poi conservato in portafogli elettronici (cd. “wallet”). Io, possessore di bitcoin, posso quindi disporne in qualsiasi momento. Posso acquistare, vendere, investire, cambiare in valute “reali” (euro, dollaro etc.).
Seconda caratteristica: il bitcoin è generato da algoritmi matematici complessi (il processo di creazione/estrazione si chiama “mining”, i creatori/sviluppatori “miners”) e chi li utilizza opera in anonimato perché la sua identità è rappresentata da un semplice codice numerico. Le transazioni sono prive di commissione e avvengono sempre sulla base della crittografia. Ecco perché il bitcoin è chiamato anche criptovaluta.
Terza caratteristica: il software che crea o gestisce bitcoin è pubblico (cd. “open source”). Chiunque può possederlo, ma per usarlo è necessario attenersi al protocollo, anch’esso pubblico. Non c’è una Banca centrale, né altri intermediari, cioè enti che garantiscano la provenienza, l’affidabilità e il valore dei BitCoin. Insomma sono gli “utilizzatori“ di bitcoin di fatto a controllare il bitcoin. Il sistema di pagamento si basa quindi su una rete di soggetti paritari (cd. P2P “peer to peer” – pari a pari).
Come faccio a trovare e ad usare i bitcoin? Le strade sono due: o li acquisto da altri soggetti in cambio di valuta reale oppure li accetto come corrispettivo per la vendita di beni o servizi. Quanto alla “veste“ giuridica, i chiarimenti vengono da una recentissima sentenza di merito, la prima ad essersi occupata della moneta virtuale (Tribunale di Verona, 24 gennaio 2017, n. 195). Il Tribunale ha chiarito che le operazioni di cambio di valute tradizionali in bitcoin, e viceversa, sono prestazioni a titolo oneroso e i soggetti “fornitori” di bitcoin agiscono come “fornitori del servizio finanziario” ai sensi del Codice del Consumo, cioè sono soggetti privati che collocano i “bitcoin” sul mercato mediante contratti conclusi con i consumatori avvalendosi di tecniche di comunicazione a distanza (art. 50 Codice del Consumo). Da ciò discendono gli obblighi di forma e di informativa precontrattuale stabiliti in materia a pena di nullità del contratto, con conseguente obbligo di restituire quanto ricevuto a carico del fornitore (salva la prova di danno emergente e lucro cessante-artt. 67duodecies e ss. Codice del Consumo).
A titolo esemplificativo: obbligo di documentazione scritta; obbligo di far capire al consumatore in maniera inequivocabile il fine commerciale del fornitore; l’identità, anche di stabilimento geografico, di quest’ultimo; le caratteristiche principali del servizio finanziario offerto; i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento; lo Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza.I fornitori di bitcoin che vogliano mantenere o implementare un certo standard “reputazionale” dovranno quindi garantire un alto livello di professionalità nella loro attività e adottare un grado di responsabilità elevato nel soddisfare il dovere di protezione degli investitori.
E le tasse? Nessuna, e a dirlo è proprio l’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 72/E/2016).
L’Agenzia ha infatti chiarito che le operazioni di acquisto e vendita con i bitcoin non generano reddito imponibile e quindi non c’è tassazione (no IVA, no IRES, no IRAP). Tecnicamente, rientrano nel novero delle prestazioni esenti (ex art. 10, comma primo, n.3, Testo Unico IVA).
Insomma, usare il bitcoin può davvero essere molto vantaggioso. Ma attenzione alle truffe.
A dirlo sono proprio i “miners”. Come riconoscere una truffa? Semplice. Tutto ciò che non rientra nelle caratteristiche del bitcoin, non è bitcoin. Se è “qualcuno” ad emetterla (e non una rete di pari), se ci propinano futuri guadagni “sicuri” (il valore del bitcoin è oscillante perché è il mercato a crearlo) e se il codice del software che crea la rete P2P non è pubblico e aperto a tutti, aguzziamo la vista. Qualcosa non va. Non a caso si sente molto parlare anche di “blockchain” di bitcoin.
La blockchain (letteralmente “catena di blocchi”), in estrema sintesi, è la tecnologia creata per il trasferimento di moneta virtuale. Essa registra, archivia e soprattutto “valida” tutte le transazioni che avvengono all’interno di una rete distribuita di computer. Ogni nodo della rete, in base ad un rigido protocollo, verifica le informazioni che poi trasferisce al successivo, in una catena di blocchi appunto, e ogni nodo ha in memoria l’intero registro, che è pubblico. Ecco perchè quel registro non può essere modificato (si tratta di milioni di nodi); posso solo aggiungere nuovi blocchi, che a loro volta poi diventano immutabili.
Efficace la metafora utilizzata da “Quifinanza.it” per spiegare il complesso funzionamento delle blockchain: “(…) proviamo a pensare a dei passeggeri (bitcoin) che salgono su un bus (blocco) che parte da una stazione di partenza per giungere ad una di arrivo (nodo) condotti da esperti autisti e controllori (miners)”. I miners,quindi, convalidano le transazioni (in circa 10 minuti) e per questo “lavoro” sono ripagati con l’emissione di nuovi bitcoin, il che spiega l’assenza di costi aggiuntivi. La blockchain di bitcoin, essendo un sistema decentralizzato, crittografato e affidabile, offre pertanto maggiori garanzie a chi investe.
Dopo tutte queste informazioni, una semplice domanda.
Il denaro del futuro sarà in bitcoin? I numeri dicono di sì. Nel 2030 il prezzo dovrebbe toccare quota 500mila dollari e gli utenti salire a 400 milioni. Parola di Peter Smith, ceo e cofondatore di Blockchain e Jeremy Liew, primo investitore di Snapchat.
Aspettare o “investire”? A voi la scelta.