Fino al 20 luglio la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, nella sua sede romana, dedica un ciclo di tre mostre ad Antonio Passa
Artista tra i più brillanti del panorama analitico e di quella che è stata definita Nuova Pittura, Antonio Passa (Cava de’ Tirreni, 1939) concepisce sin dal 1970, anno in cui si trasferisce a Roma, un discorso che mira a coniugare materiale manuale e mentale per intraprendere un viaggio metalinguistico, un discorso – pratico e teorico – sull’arte intesa come intrattenimento infinito, come luogo delle possibilità.
Si tratta di un processo che, se da una parte crea aderenza tra il fare arte e il pensare contestualmente agli elementi dell’arte, dall’altra si articola nell’ambito di una procedura linguistica entro la quale i vari elementi che costituiscono il linguaggio vivono un forte rapporto di concatenamento, di relazione semiotica.
All’itinerario intellettuale di questo artista totale, la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, in collaborazione con l’Associazione FigurAzioni e con il Lavatoio Contumaciale di Roma, dedica nella sede romana della Fondazione (già sede dell’Archivio Menna / Binga, in via dei Monti di Pietralata, 16) un ciclo di mostre, tre precisamente, che raccontano – fino al prossimo 20 luglio – il profilo creativo di una figura che ha mostrato la volontà di attraversare il campo di una pittura intesa come fatica mentale, come filologica e fisiologica riflessione sullo stato del dipingere («da quando fa pittura Antonio Passa si è dato un compito di sperimentazione e di verifica», ha puntualizzato Argan), come territorio necessario che vi passa per il vedere (Leonardo).
tuttoPassa, in tre mesi propone una scansione del lavoro svolto dall’artista a partire dal 1969 per mostrare i territori irrinunciabili di una ricerca che si concentra su un perimetro pittorico primario nel quale la pittura si articola mostrando i propri strumenti e concependosi come elemento stesso della realtà.
Sin dal 1970, anno in cui si trasferisce a Roma, Antonio Passa disegna una ricerca pittorica che si configura come riflessione metalinguistica incentrata su un problema di ridefinizione del quadro a partire dai suoi elementi costitutivi di base, quali il telaio, la tela ed il colore, con esiti e procedimenti riferibili all’ambito della Nuova Pittura.
Già docente e direttore in varie Accademie di Belle Arti italiane, dal 2006 fa parte del Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario e dal 2012 è nominato in qualità di esperto presso l’ANVUR. Tripartita e via via triarticolata, la mostra rappresenta un momento di irrinunciabile riflessione sullo spirito di una geometria totale che, dal Quadro quadrato al Quadrato interrotto, dal Tangram alla Trabeazione, da Alhambra a ZEROVENTI o ai recenti cicli pitagorici, evidenzia un discorso serrato sui dati costitutivi della pratica pittorica, su una «catena linguistica interamente aperta e visibile, priva di salti consistenti, che si traduce in una struttura sintatticamente coerente, autosufficiente e autosignificante» (Menna).