Un caso di licenziamento illegittimo

massimo ambronCon la sentenza n. 23365 del 15 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’azienda comminato a un dipendente che durante la malattia lavorava presso un’agenzia immobiliare. I perché giustificati del reintegro

 

La recentissima sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata conferma le precedenti sentenze emesse, sia in primo grado sia in Corte di Appello, rigettando il ricorso presentato dall’azienda presso cui era dipendente il lavoratore.

Nei tre gradi di giudizio la posizione dei magistrati appare quindi nella fattispecie concorde e senz’altro unitaria. Sembrerebbe, invece, ad una prima rapida lettura, censurabile la posizione dei magistrati aditi, essendo in presenza di grave inadempimento contrattuale che va ad inficiare e incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia che è alla base del rapporto di lavoro, oltre che a violare i doveri di correttezza e buona fede e gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Al contrario, se si analizza, soprattutto in punto di fatto, la questione in esame le sentenze emesse dai giudici e confermate dalla Cassazione appaiono giuste, logiche e congruamente motivate.

A mio avviso il provvedimento di licenziamento rappresenta un momento molto delicato nella gestione della impresa e pertanto il datore di lavoro già dal momento in cui avvia il procedimento disciplinare, che può avere come conseguenza la espulsione dal processo produttivo, deve da un lato effettuare con cautela una istruttoria completa, genuina e oggettiva, e dall’altro coinvolgere già nelle fasi iniziali esperti in materia.

Il caso in esame riguarda il licenziamento comminato da una azienda ad un suo dipendente che, durante l’assenza per malattia regolarmente certificata, svolgeva attività lavorativa presso un soggetto terzo, una agenzia immobiliare. Il datore di lavoro, avendo avuto informazioni sul fatto, aveva dato incarico ad una agenzia investigativa, che aveva relazionato, confermandone la circostanza. Il lavoratore si era difeso nei due gradi di giudizio e poi in Cassazione comprovando che l’attività era stata svolta in maniera occasionale e saltuaria collaborando con un proprio congiunto, senza alcuna retribuzione e comunque l’attività era compatibile con la malattia sofferta e «non ne pregiudicava il recupero delle normali attività lavorative».

Inoltre, la contestazione disciplinare era generica, non riportava dati specifici su date, ore, modalità di esecuzione della presunta attività lavorativa e anche dalla relazione della agenzia investigativa, peraltro prodotta tardivamente, «emergevano attività per lo più varie e poco impegnative e comunque compatibili con la patologia cronica sofferta dal ricorrente, poi appellato». Le tesi esposte dal lavoratore sono state accolte in ogni sede, da ultimo presso la Suprema Corte con la sentenza che qui si commenta.

La S.C. ha ritenuto infondati i motivi posti a base del ricorso presentato dalla Società. Il primo riguarda la lettera di contestazione che secondo la S.C. è assolutamente generica, non individua i giorni, né l’attività concretamente svolta e, pertanto, non consente al lavoratore di difendersi puntualmente da accuse genericamente formulate e al Giudice di valutare la gravità dei fatti addebitati.

Il secondo motivo riguarda l’attività svolta presso il soggetto terzo che risultò sporadica, occasionale, svolta non durante l’orario di apertura dell’agenzia e comunque compatibile con lo stato di malattia certificato “epatopatia cronica evolutiva” che, come emerse in base alle prove fornite, non poteva subire pregiudizio o “rallentarne il processo di guarigione”.

In conclusione, la S.C. ha ritenuto nel caso di specie il licenziamento illegittimo, in quanto tutti gli addebiti contestati, peraltro generici, sono stati smentiti dalle prove emerse in corso dei giudizi. Inoltre, non è stato provato che l’attività poteva portare pregiudizio al rapido rientro al lavoro e/o la eventuale simulazione fraudolenta della malattia.

Diversamente la S.C. avrebbe deciso, riconoscendola, la legittimità del licenziamento come da costante e consolidato filone giurisprudenziale, se il datore di lavoro, sulle premesse di elaborare una contestazione disciplinare specifica con allegazioni documentali e/o prove testimoniali, avesse comprovato la incompatibilità tra l’attività svolta e il tipo di patologia connessa alla sua malattia, la sua continuità e non occasionalità, tali da violare i doveri di correttezza e buona fede, oltre che gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, condotte che non consentono la continuazione del rapporto di lavoro essendo venuto meno il vincolo fiduciario.