Imporre la tassa unilateralmente – senza un reale accordo internazionale – rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile.
La Tobin Tax è la tassa sulle transazioni finanziarie ideata nel 1972 dal mentore dell’attuale premier Mario Monti, l’economista James Tobin, il quale immaginò l’applicazione di un’aliquota tra lo 0,1% e l’1% sulle transazioni in valuta straniera. Secondo i calcoli della Commissione Europea, porterebbe nelle casse dell’Unione introiti per almeno cinquantacinque miliardi di euro, arginando gli effetti della speculazione e garantendo liquidità ai Paesi soggetti alla crisi del debito sovrano.
Ma è davvero tutto così semplice? Che cos’è e cosa comporta davvero la Tobin Tax?
Il professor James Tobin è stato uno dei più rigorosi oppositori della dottrina Thatcher-Reagan e di tutte le scelte derivanti dal dogma liberista degli ultimi vent’anni; Nobel per l’Economia nel 1981, la sua proposta di tassazione sulle operazioni finanziare in valuta straniera si presenta come estremamente semplice da un lato, e incredibilmente efficace dall’altro.
Essa andrebbe a penalizzare quei soggetti e operatori (grossi gruppi bancari d’investimento, hedge funds) che riescono a generare ampi margini dalle attività di trading a breve termine, destabilizzando l’intero sistema del debito sovrano.
Le crisi moderne, oltre ad essere drammaticamente vicine l’una all’altra in termini di tempo, presentano dei tratti economici strutturali comuni: disavanzo permanente nella bilancia corrente dei pagamenti o nel bilancio dello Stato, inflazione, sopravvalutazione del tasso di cambio.
La teoria e la politica economica dominanti sono fondate sull’assunto che la liberalizzazione dei movimenti di capitale apporti effetti benefici al sistema economico globale, poiché una maggiore concorrenza produce maggiore efficienza.
Tuttavia, i fondamentali reali dell’economia sono costantemente messi alla prova dalle dinamiche monetarie e finanziarie che, in un’economia particolarmente interconnessa come quella attuale, rischiano di essere amplificatori di disordine in situazioni di panico. Le ondate di pessimismo che colpiscono i mercati, infatti, si diffondo quasi immediatamente al tessuto del settore produttivo, rendendo complicate le operazioni di finanziamento e l’accesso al credito, innescando pericolose dinamiche recessive e, nel peggiore dei casi, spirali deflazionistiche (come nel caso del Giappone anni ’90).
Come può, allora, la Tobin Tax arginare simili problematiche?
Supponiamo che un operatore disponga di 1 milione di euro e preveda per il giorno successivo un deprezzamento della moneta rispetto al dollaro.
Supponendo un cambio 1:1, vendendo il milione di euro e riacquistando l’equivalente in dollari, se la previsione sul deprezzamento si rivela esatta, e 1 dollaro viene quindi scambiato per 1,005 euro, questo consentirebbe all’operatore di portare a casa 5000 euro, aumentando il capitale dello 0,5%. Il numero di tali operazioni speculative aumenta significativamente in presenza di bassi tassi d’interesse imposti dalle Banche Centrali, come quelle della BCE e della FED (la banca centrale americana).
Ma cosa accadrebbe se l’operatore fosse costretto a pagare una tassa sul valore di ogni scambio, diciamo dello 0,25%?
Egli sborserebbe 5012,5 euro (2500 euro nella prima conversione; 2512,5 nella seconda) per un’operazione che gliene frutterebbe solo 5000.
Molto più realisticamente, la transazione non avrebbe luogo.
Per evitare che ciò avvenga, in quanto in assenza di transazioni non vi sarebbe alcun prelievo, Tobin calcolò che l’imposta sarebbe dovuta essere minima e non progressiva, su ogni compravendita di valuta estera, distinguendo le transazioni speculative da quelle commerciali attraverso l’identificazione dell’orizzonte “corto” e delle elevate rotazioni di capitale che caratterizzano le prime.
I limiti della Tobin Tax
Nel caso tale tassazione venga imposta soltanto in alcune aree o su un limitato numero di mercati borsistici, dal momento che la tassazione è basata sul principio di residenza, nel medio termine, tutta l’industria finanziaria rischierebbe di migrare nei paesi dove la Tobin Tax non è introdotta. Da queste piazze, attraverso le piattaforme elettroniche di scambio, gli operatori riuscirebbero comunque a compiere operazioni sulle borse dei paesi dove invece essa vige, senza doverne pagare il costo. Si creerebbero così le premesse per opportunità di arbitraggio che produrrebbero incentivi all’attività speculativa, anziché ridurla.
La misura della Tobin Tax sarebbe di carattere preventivo e avrebbe lo scopo di arginare le fluttuazioni eccessive dei tassi di cambio, ritardando così lo scoppio di una “crisi”, ma risulterebbe essere una misura scarsamente efficace di fronte alla crescente instabilità economica e valutaria internazionale, derivanti da questioni di profondo squilibrio nel trasferimento delle risorse dal capitale “produttivo” a quello “finanziario”. In presenza di una degenerazione dei mercati speculativi, dovuta al prevalere di comportamenti mimetici e destabilizzanti degli operatori, la Tobin Tax risulterebbe essere irrilevante, soprattutto in assenza di convincenti politiche monetarie da parte delle Banche Centrali, che dovrebbero essere in grado di operare sul mercato come acquirenti o offerenti di valuta.
La finanziarizzazione delle economie mondiali non è soltanto la causa della crisi dei flussi monetari mondiali che si trasmettono alle variabili reali, deprimendole, ma ne rappresenta anche l’effetto nella misura in cui dai conflitti sulla creazione e sulla distribuzione del valore si sono originate le forze e le scosse da cui la speculazione ha preso slancio.
Pensare che la Tobin tax possa porre rimedio a problemi di fondo, “strutturali” del sistema, è illusorio.
Il futuro: guerra alla Finanza malata, mercato della trasparenza delle informazioni. Quando persino un economista neoclassico come Jagdish Bhagwati, fermamente schierato a favore della liberalizzazione del commercio, si scaglia con parole di fuoco contro il complesso “Tesoro-Wall Street”, reo di sottovalutare la ricorrenza delle crisi finanziare e i costi reali delle recessioni indotte e di tacere colpevolmente sui profitti che i gruppi finanziari ottengono nell’acquisizione delle industrie migliori, è chiaro che l’intero sistema finanziario è malato. La Tobin tax è soltanto uno dei vaccini a disposizione: lo stesso Trattato di Maastricht consente di imporre restrizioni amministrative sui capitali importati o esportati per un periodo di 6 mesi.
James Tobin si era reso conto delle reali difficoltà nella realizzazione pratica dell’imposta. Per ridurre la speculazione è opportuno diffondere anche logiche di incentivo alla trasparenza delle negoziazioni. Non a caso, i problemi degli ultimi mesi non vengono tanto dai mercati regolamentati, che ne sono piuttosto la vittima, quanto dai mercati paralleli non regolamentati.
Imporre la tassa unilateralmente – senza un reale accordo internazionale – rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile.