I fondi comunitari per il 2021-2027 e il Recovery Fund potrebbero anche essere canali per arricchire gli incentivi e la dotazione di risorse e rendere ancor più conveniente investire nel Sud di quanto non lo sia già
Un interessante studio elaborato da SRM presentato alla Conferenza “Il Mezzogiorno d’Italia: chiave di rilancio per l’economia italiana?” di Aspen Institute Italia a fine 2020 ha fornito la fotografia dello stato di attuazione delle ZES in Italia. Le ZES, si ricorda, sono state concepite dal legislatore italiano nella legge 123/17. Questo strumento ha il fondamentale compito di mettere “a sistema” l’industria manifatturiera di un territorio con il porto/i porti di riferimento. Ciò dovrebbe avvenire rendendo disponibili per gli investitori (italiani o esteri) una serie di incentivi, finanziari, burocratici e creditizi, tesi a rendere più appetibile il territorio. Tali incentivi vanno a sommarsi con la presenza di un porto e di una logistica (ferroviaria, aerea e stradale) efficiente ed efficace e di un tessuto che possa offrire asset come centri di ricerca, università, altre imprese con cui fare business e, non ultimo, un aeroporto per facilitare ancor di più le connessioni cargo e passeggeri. L’elemento di innovazione della ZES è stato proprio quello di concepire il porto come “perno” che guida un sistema di sviluppo territoriale; tutti gli investimenti realizzati e tutta la strategia devono, infatti essere disegnati per favorire la crescita dello scalo, del suo traffico, dell’import-export e, contestualmente, delle imprese. Per fornire qualche dato, secondo le ultime rilevazioni dell’Unctad, nel 1997 il numero di ZES era pari a circa 845 in 93 Paesi, tale valore è salito nel 2018 a 5.383 e coinvolge circa 147 Paesi. Il 75% delle Free Zone nel mondo è concentrata in Asia (il 47% in Cina); l’Europa ha 105 zone, il Nord-America 262.
Nella Cina, a titolo di esempio, occupano oltre 50 milioni di persone e generano 145 milioni di dollari di interscambio. L’impatto economico totale generato ammonta a oltre 68,4 milioni di lavoratori diretti e un valore aggiunto, derivante dagli scambi, di poco più di 850 miliardi di dollari. In Europa esistono diversi casi di free zone a diversi livelli di operatività (più che altro si tratta di punti franchi doganali individuati all’interno di aree portuali); se ne contano ad esempio 10 in Danimarca, 8 in Germania, 3 in Grecia, 5 in Spagna (tra cui la famosa ZAL-Zona ad Attività Logistica di Barcellona). In Italia la Zona Franca Doganale più conosciuta è quella del porto di Trieste. Da aprile 2020 anche Taranto ha una zona franca doganale interclusa. Uno dei casi più noti in Europa è rappresentato dalle 14 ZES della Polonia che hanno creato circa 296.000 nuovi posti di lavoro; esse coprono una superficie di oltre 18mila ettari e interessano 162 città e 232 Comuni del Paese. Secondo gli ultimi dati disponibili, nelle ZES polacche sono localizzate anche circa 80 imprese Italiane di vari settori. Una delle Free Zone più importanti dell’area MENA è a ridosso del porto di Tanger Med in Marocco. L’area logistico portuale e l’area “franca” ospitano complessivamente circa 600 imprese di tutti i settori produttivi che realizzano un totale export di oltre 4 miliardi di euro. È una zona fondata su ingenti investimenti nel settore automotive (Renault) ma anche di altri comparti manifatturieri; le imprese possono contare sulla presenza di uno dei porti più efficienti del Mediterraneo che movimenta circa 3 milioni di container l’anno e di aziende logistiche di livello internazionale che gestiscono i terminal dello scalo (APM; Eurogate, Marsa Maroc). In Italia sono state definite al momento 8 ZES, di cui una in Campania. La strategia sulla quale si è inteso muovere il legislatore è stata quella di definire, mappandole in un Piano di Sviluppo Strategico (PSS), una serie di aree nelle regioni, facilmente collegate al porto, in cui favorire insediamenti o nuovi investimenti industriali; il PSS deve definire anche l’impatto economico-sociale della ZES, gli incentivi in ogni loro forma e la struttura della governance della Zona. Responsabile dell’attuazione del PSS un Comitato di Indirizzo che, secondo gli ultimi dettati normativi, verrà presieduto per ogni singola ZES da un Commissario di Governo (Data la complessa articolazione normativa, per conoscere tutti i dettagli sulle ZES e le loro caratteristiche si consiglia di consultare la Legge 123/2017 e s.m.i. recante Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno. (GU Serie Generale n.188 del 12-08-2017).
Per quanto riguarda gli incentivi da concedere il mix sul quale ci si è orientati è stato:
- Agevolazioni statali concretizzabili in un credito di imposta specifico per le ZES pari a max 50 milioni per investimento (e tenendosi nei limiti della normativa degli aiuti di stato europei);
- Agevolazioni regionali che ciascun ente territoriale può definire;
- Agevolazioni burocratiche ed amministrative sia statali che regionali;
- Possibilità di creare Zone Franche Doganali per fruire di benefici in termini di pagamento di dazi e IVA;
- Possibilità di stipulare accordi con banche per ottenere facilitazioni creditizie.
La vita “tecnica” della ZES è di 7 anni al termine dei quali dovrà essere effettuata una verifica dei risultati raggiunti per avere una proroga. Al momento le ZES che stanno avendo migliori risultati sono quella della Campania e della Calabria, in cui si ha notizia di alcuni interessanti investimenti effettuati da imprese manifatturiere e logistiche. Il fermento è però forte in tutto il territorio meridionale. Di grande importanza riveste anche il ruolo della banca; un istituto che si è mosso con concretezza è stato il Gruppo Intesa Sanpaolo che ha previsto un plafond di 1,5 miliardi di euro per le imprese interessate a realizzare investimenti nelle ZES e ha siglato protocolli di intesa con le tre Autorità di Sistema Portuale: del Tirreno Centrale, Ionica e dell’Adriatico Meridionale; Intesa Sanpaolo, con la sua Direzione Regionale Campania, Calabria, Basilicata e Puglia ha anche affiancato i porti di Napoli, Bari e Taranto nella fase di promozione dello strumento organizzando workshop tecnici a Milano, Napoli, Bari e Taranto alla presenza di potenziali investitori nazionali ed internazionali.
Di particolare valenza sono state le missioni operative organizzate dalle rappresentanze di Intesa Sanpaolo a Dubai negli Emirati Arabi Uniti e a Pechino in Cina dove sono stati svolti numerosi e fruttuosi incontri tra gli operatori e le Autorità di Sistema Portuale italiane. Lo strumento al momento non è però decollato appieno poiché non sono ancora stati nominati tutti i commissari governativi e occorre ancora qualche perfezionamento alla normativa.
Resta di fatto che le ZES sono una strada da percorrere poiché danno più competitività al porto e tutti i nostri principali competitor nel Mediterraneo stanno adottando politiche strategiche in tal senso. I fondi comunitari per il 2021-2027 e il Recovery Fund molto discusso in questo momento storico potrebbero anche essere canali per arricchire gli incentivi e la dotazione di risorse per rendere ancor più conveniente investire nel Mezzogiorno di quanto non lo sia già.