La nuova rubrica sulla potenza del visivo, omaggio al genio di Andy Warhol
Una nuova rubrica per avvicinare il mondo delle immagini. Un viaggio tra fotografia, performance, fumetto, graphic novel, audiovisivi…Una riflessione sulla visione nelle sue tante diramazioni e contaminazioni. Un racconto sulla potenza esponenziale delle immagini e sul loro continuo fluire, da qui il titolo che omaggia un grande capitolo delle arti contemporanee. Sia ben chiaro ancora una volta è quel geniaccio di Andy Warhol a dettar legge. Infatti in modo esponenziale, con Warhol, l’espressione visiva, la voglia di andare al di là della pittura tradizionale e del concetto di quadro e del mercato dell’arte cambia radicalmente. E la nascita del gruppo Fluxus e contemporaneamente la diffusione dell’Arte Concettuale sono frutto di Mister Drella. In un mix di musica, teatro, cinema sperimentale, performances, body art, happenings e poesia, Fluxus accoglie decine di artisti tra compositori, musicisti, designer, pittori. Nel 1963 George Maciunas (1931-1978) lancia il grido Fluxus attraverso il manifesto in cui veniva esemplificato, attraverso le molteplici definizioni contenute in un dizionario, il termine “Fluxus”. Più che movimento vero e proprio Fluxus può essere definito un atteggiamento artistico, un’attitudine, i cui denominatori comuni devono essere vitalità, sperimentazione multimediale ma anche impossibilità di essere definibile ed etichettabile. Nessun elenco ufficiale dei “fluxisti”.
Il gruppo è aperto a tutti. Soprattutto a chi è mosso da un senso di ribellione nei confronti del mercato dell’arte e dell’ideale borghese di opera. Parole forti e chiare quelle del manifesto Fluxus 1963. L’idea alla base è produrre nessun oggetto vendibile affinché la logica del mercato venga contrastata. Gli eventi e le performances che propongono sono essenzialmente brevi, dirette, immediate.
L’invito viene accolto da decine di artisti, provenienti da ogni angolo del mondo. Partendo dagli Stati Uniti con John Cage, figura essenziale del gruppo, attorno al quale gravitano, tra i tanti,
La Monte Young, George Brecht, Al Hansen, Dick Higgins. Composizioni sperimentali, questo il nome delle performances che iniziano tra il 1957 e il 1959 presso la New School for Social Research di New York. Leggiamo dal Manifesto: “Epurare il mondo dalla malattia borghese, dalla cultura “intellettuale”, professionale e mercificata, Epurare il mondo dall’arte morta, dall’imitazione, dall’arte artificiale, dall’arte astratta, dall’arte illusionistica, dall’arte matematica, – Epurare il mondo dall’“europeismo”! Promuovere un’alta e una marea rivoluzionaria nell’arte, promuovere l’arte vivente, l’anti-arte, promuovere la realtà non artistica che possa essere colta da tutti i popoli, non solo critici, dilettanti e professionisti”.
Spesso si tratta di concerti eseguiti su strumenti classici, ma la peculiarità, come già successo in ambito pittorico, sta nell’interagire e modificare lo strumento in sé. In alcuni casi, ad esempio, il pianoforte, viene violentemente trattato: segato in due, suonato collettivamente in maniera causale, preso a martellate.
Non c’è una strada precisa da percorrere, la musica è una di queste ma non la sola.
Possiamo affermare che è senz’altro un punto di partenza. Infatti è grazie ad una serie di concerti, organizzati da Maciunas e altri artisti che includevano, tra gli altri, gli italiani Giuseppe Chiari e Sylvano Bussotti, che il Fluxus viaggia dall’America all’Europa.
Le influenze dei fluxisti arrivano anche in Oriente. Shigeko Kubota, Yoko Ono, Takehisa Kosugi, Takako Saito, Yasunao Tone sono alcuni degli artisti che hanno contribuito a creare “rumore” intorno a questo movimento con le loro opere ed eventi multimediali, lontani dalle logiche tradizionali del fare arte.
Ciò che contraddistingue questo periodo, dal punto di vista artistico, è sicuramente una consapevole intermedialità, mescolanza di linguaggi, che è anche un po’ «fusione tra l’elemento visuale, come la pittura e quello verbale-concettuale» (Donatella Capaldi).
Ma perché questo gruppo è così importante non solo per il sistema della arti ma per tutta la futura storia delle immagini della contemporaneità? Perché Fluxus stabilisce immediata una dialettica con le tecnologie, perché contamina tutte le forme del visuale, perché spezza la logica della funzione dell’immagine, perché ci invita a leggere tutti i sistemi creativo/espressivi come un percorso complessivo e stratificato. A cominciare dalla sperimentazione tecno/estetica.
Infatti, le prime manifestazioni di quella che viene definita videoarte prendono vita proprio in seno all’attività del gruppo, il Fluxus, dove troviamo due grandi artisti Wolf Vostell (1932-1998) e Nam June Paik (1932-2006) padri dell’arte in video. Insomma, fluxus come annuncio del divenire totale delle immagini e noi – Giovanna Landi, esperta in comunicazione visiva e io – dalla piccola finestra del nostro Magazine vogliamo rintracciare i flussi delle immagini nella nostra ipermodernità.