L’autonomia differenziata è una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani. È serio il rischio di creare cittadini differenziati sulla base del loro certificato di residenza ma non se ne parla volutamente. Si pensi che il documento del Dipartimento per gli affari regionali, che individua le 500 funzioni che sarebbero teoricamente trasferibili alle Regioni, non è disponibile sul sito. Non si vuole, evidentemente che gli italiani capiscano di che cosa si tratta
Professore, ad agosto scorso la Camera ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, cui ha fatto seguito il ricorso di alcune di queste – Puglia, Sardegna, Toscana e Campania – e, in parallelo, il raggiungimento delle 500mila firme per indire il referendum abrogativo. Cosa è lecito aspettarsi ora?
Il quadro è molto articolato: la raccolta firme per il referendum abrogativo si è conclusa a fine settembre con un numero di firme molto importante (in soli due mesi sono state raccolte un milione e mezzo di firme tra cartacee e online, ndr). Successivamente, bisognerà attendere le decisioni della Corte Costituzionale sui ricorsi delle Regioni e sull’ammissibilità del referendum. Ancora, c’è l’iniziativa della Regione Veneto e altre per siglare le intese già sulle materie non LEP (il Veneto ha chiesto maggiore autonomia in nove materie “non Lep”: Organizzazione della giustizia di pace; Rapporti internazionali e con l’Ue della Regione; Commercio con l’estero; Professioni; Protezione civile; Previdenza complementare e integrativa; Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale, ndr). Vedremo via via come si concluderanno queste fasi.
Rispetto all’eventuale referendum abrogativo della nuova legge sull’autonomia differenziata, il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli ritiene sarebbe inammissibile. Concorda con questa posizione?
Non sono un giurista, ma credo che la stragrande maggioranza dei giuristi italiani costituzionalisti abbia una posizione diversa rispetto a quella espressa dal ministro Calderoli. Esistono ottimi motivi per cui la Corte potrebbe giudicare ammissibile il referendum e il punto è che da parte del Ministro, viste le difficoltà recenti, anche all’interno della maggioranza è in corso un’offensiva mediatica volta a rinserrare le fila dei sostenitori dell’autonomia differenziata, cui sta dando una mano importante anche il professor Cassese. Ma credo che la Consulta abbia ogni serenità per decidere al meglio su questi temi così complessi.
Lei in passato aveva immaginato sì un referendum, ma confermativo da parte dell’intero corpo elettorale. Sarebbe stata una strada più semplice o preferibile?
Il referendum possibile sull’autonomia differenziata è solo quello abrogativo. Altri pronunciamenti non avrebbero alcun valore e dunque si tratta di un percorso difficile, perché il referendum abrogativo richiede un quorum pari alla maggioranza più uno degli iscritti nelle liste elettorali compresi tutti gli italiani che stanno all’estero.
Il valore reale di questo referendum ritengo sia però innanzitutto nella mobilitazione politica che sta determinando, cioè nella circostanza che tanti italiani alla fine stanno capendo che cos’è l’autonomia differenziata, perché è una secessione dei ricchi e quanti problemi può provocare all’intero Paese.
Secondo lei ci sono aspetti fin qui trascurati nel dibattito sull’autonomia, che invece, sarebbe necessario indagare?
Il punto centrale e molto trascurato della discussione sull’autonomia differenziata sono le richieste di competenze da parte delle Regioni, ovvero l’elemento più importante.
Le Regioni infatti chiedono di diventare delle Regioni Stato, con poteri pari a quelli degli Stati sovrani. Una situazione che non esiste in nessuna parte del mondo, peraltro in regioni come quella italiane nelle quali c’è l’elezione diretta del Presidente e dunque avremo dei premier regionali con poteri estesissimi. Le richieste delle Regioni hanno pochissimo fondamento, non è mai stato spiegato perché quella Regione richieda quella specifica competenza o perché dovrebbe essere più efficiente se gestita a livello locale. Che cosa succede al sistema delle politiche italiane in quella materia?
C’è un velo di ignoranza su tutti questi aspetti, che non è casuale. Si pensi che il documento del Dipartimento per gli affari regionali, cioè del Ministro Calderoli, che individua le 500 funzioni che sarebbero teoricamente trasferibili alle Regioni, non è disponibile sul sito.
Non si vuole, evidentemente che gli italiani capiscano di che cosa si tratta.
Quali, invece, restano per lei i risvolti più temibili del ddl Calderoli?
I risvolti più temibili sono sempre gli stessi. Da un lato, lo spezzettamento dell’Italia in tante repubblichine quasi indipendenti, in regioni dotate di potere estesissimo e quindi la rottura nelle grandi politiche pubbliche dell’ambiente, dell’energia, della scuola, della sanità. Un Paese che si frantuma e diventa un Paese Arlecchino. Dall’altro, la possibilità che le Regioni più forti ricevano maggiori risorse per far fronte a queste competenze e che quindi si generino difficoltà nella gestione del debito pubblico e che ci siano degli effetti negativi per le regioni più deboli.
Un’ultima domanda: esistono rischi per i conti pubblici? Quanto costerà l’autonomia differenziata al Paese?
Certo che esistono enormi rischi per i conti pubblici perché il Ministro dell’economia potrebbe disporre di un gettito fiscale molto minore per far fronte al debito e per far fronte ai servizi pubblici del resto del Paese, questo perché le regioni ad autonomia differenziata tratterebbero una quota del gettito fiscale delle tasse statali sul proprio territorio. Il punto è che queste regioni sono molto grandi, a partire dalla Lombardia, e quindi queste cifre potrebbero essere significative.
Non disponiamo di nessuna stima affidabile perché l’importo di queste risorse dipende moltissimo dalle competenze che saranno concesse.
Questo ci ricorda però un punto decisivo, e cioè che la chiave economica dell’autonomia differenziata non sta nei LEP, ma nel fatto che le Regioni si finanzierebbero solo attraverso un’aliquota di compartecipazione al gettito di imposte nazionali quindi con una totale irresponsabilità da parte della politica regionale nell’acquisire queste risorse.